Il rimosso del caso Mastella
Adesso che si è capito che il governo Prodi è caduto per iniziativa diretta della magistratura, forse è ora di ripristinare il filtro tra giustizia e politica voluto dai padri della Costituzione più bella del mondo
Il rimosso del caso Mastella non è certo il pittoresco, il familistico, il ceppalonico-beneventano, e nemmeno le lacrime di coccodrillo versate a nove anni dal fattaccio seguito da assoluzione, con richieste di scuse e risarcimento che non saranno esaudite, il rimosso è la caduta di governi e parlamenti per mano inquisitoriale (con il maggioritario, ribaltoni a parte, governi e parlamenti se ne andavano insieme, cosa che con il proporzionale non avviene, di regola). Si dirà che il governo Prodi nel 2008 era debole, Veltroni nuovo segretario del Pd incalzava dissimulando, lo stato maggiore dell’Ulivo era squinternato dalla solita battaglia dei capi eccetera. Giusto. Erano deboli anche il primo e il terzo governo Berlusconi, nessuno ha saputo padroneggiare le coalizioni del maggioritario, una volta Bossi una volta Fini, lo sappiamo. Eppure la morìa di governi e parlamenti, sindacature e altri luoghi esecutivi del potere centrale e locale, nonostante il voto popolare che li aveva prescelti, si è dovuta per vent’anni all’iniziativa squassante, spesso coronata da perfetto insuccesso in dibattimento processuale, di inquisitori zelanti. La debolezza politica della seconda Repubblica cosiddetta, e alla fine la sua morte cerebrale cui è succeduta l’èra delle coalizioni grandi e piccole, e anche qui ci hanno provato (vedi il caso Consip-Scafarto), aveva d’altra parte connessioni evidenti con le attività della magistratura d’assalto.
Per anni, allo scopo di dire una cosa vera che oltre tutto ci tornava utile nella polemica contro l’antiberlusconismo, qui abbiamo dato conto delle vere ragioni giudiziarie della caduta del governo Prodi (2006-2008) mentre la grande stampa d’informazione era distratta. Ora tutti lo riconoscono. Le dimissioni di Clemente Mastella da ministro della Giustizia (si noti: autore di una buona legge sulle intercettazioni), dopo l’arresto della moglie e l’incriminazione collettiva del suo giro di partito da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere, e il conseguente sfratto del Professore e del parlamento eletto due anni prima, furono il prodotto diretto di un’alzata d’ingegno del pubblico ministero, diciamo così, che si è rivelata una bolla negli anni del processo e a sua conclusione.
Non risultano governi e Parlamenti europei rinviati a giudizio e condannati in simile modo. Il caso è solo italiano. Non è isolato, fu sistematico per tutta la durata dei governi maggioritari. Perfino Di Pietro ha ammesso che le implicazioni direttamente politiche delle inchieste del pool di Milano furono un fatto palese, sebbene per oltre vent’anni negato. Non sono bastate le candidature e le investiture a ministro, parlamentare, sindaco di illustri e meno illustri magistrati da prima pagina e da inchiesta reportage per vendicare il grido dei vecchi partiti: questi vogliono prendere il nostro posto, punto e basta. Non è bastato il notorio attivismo borrelliano all’insegna del “resistere! resistere! resistere!” per convincere i refrattari e i complici della torsione anticostituzionale in senso politico delle attività della magistratura. Forse adesso che si è capito come il governo Prodi è caduto, e per iniziativa diretta di chi, si capirà anche che il filtro tra giustizia e politica voluto dai padri della Costituzione più bella del mondo, il famoso articolo 68 della Costituzione, andrebbe semplicemente ripristinato. Meglio un sospetto di malaffare in circolazione che una sospetta sospensione della democrazia politica. Elementare, Watson.