Fine pena quando?
Carceri sovraffollate e aumento dei suicidi, l’Italia torna a ignorare i diritti dei detenuti
Roma. Scia di sangue nelle carceri italiane, con tre suicidi nel giro di 24 ore. Il primo a togliersi la vita, nella notte tra martedì e mercoledì scorso, è stato un ventunenne di origini tunisine nel penitenziario Don Bosco di Pisa, impiccandosi con un lenzuolo nella propria cella. Il suicidio ha suscitato le proteste degli altri detenuti, che hanno dato vita a una rivolta, lanciando qualsiasi genere di oggetto dalle proprie celle e incendiando lenzuola e cuscini. Solo l’intervento della polizia in tenuta antisommossa ha riportato la calma.
Poche ore dopo un altro detenuto si è tolto la vita, questa volta nel carcere Lorusso e Cotugno di Torino. E’ un detenuto di origine sinti di 27 anni. Anche lui si è suicidato impiccandosi con un lenzuolo legato alle grate del bagno della cella. Stesse modalità del terzo suicidio di cui si è reso protagonista un detenuto 51enne di Cervia, recluso nel carcere di Ravenna in via cautelare. Un’escalation che porta a 40 il numero dei suicidi avvenuti nelle carceri italiane dall’inizio del 2017 (basti pensare che nel 2016 furono 45 durante tutto l’anno, e ora siamo solo agli inizi di settembre). E il bilancio sarebbe potuto essere ancor più grave, se si considerano i due tentati suicidi registrati, sempre nelle stesse ore, nel carcere di Rimini.
L’impennata di suicidi è legata principalmente al ritorno della grande emergenza del sovraffollamento carcerario. Negli ultimi mesi, infatti, il tasso di sovraffollamento nelle strutture penitenziarie italiane è tornato paurosamente a crescere, passando dai 52.164 detenuti reclusi nel gennaio 2016 ai 56.766 di fine luglio di quest’anno, quasi 5 mila in più, a fronte di una capienza di 50 mila posti (tasso di sovraffollamento al 113 per cento). Anche se, come sottolinea puntualmente l’associazione Antigone, che da anni si batte per i diritti dei detenuti, la capienza formale non tiene conto delle tante sezioni dei penitenziari chiuse perché inagibili o in ristrutturazione, situazione che fa spiccare ancora più in alto il tasso di sovraffollamento in alcune carceri, come a Como (186,6 per cento) o Busto Arsizio (174,2).
Così in alcune strutture si è tornati a ospitare i detenuti in spazi inferiori ai 3 metri quadrati, la fatidica soglia indicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo al di sotto della quale la detenzione è classificabile come “trattamento inumano e degradante”. Espressione ben nota all’Italia, che negli ultimi 20 anni ha ottenuto il record di sentenze di condanna da parte della Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani dei carcerati (dietro solo alla Turchia), e che nel 2013 provò la vergogna di vedersi aprire un fascicolo da parte della Cedu, con verifica annuale del rispetto delle sentenze.
Nel 2016, a fronte di un considerevole calo del numero dei detenuti, la procedura venne definitivamente archiviata, con grande gaudio del ministro della Giustizia Andrea Orlando, il quale però si spinse anche a dire che “il nostro Paese viene indicato dal Consiglio d’Europa come esempio da seguire nell’affrontare il tema del sovraffollamento”. Beh, evidentemente proprio di esempio non si può parlare se ora, a distanza di quasi due anni, le carceri esplodono di nuovo e nel giro di tre anni potrebbero tornare ai livelli di emergenza del 2010, quelli che spingevano Marco Pannella a parlare di “flagranza di reato” dello stato italiano contro i diritti umani.
Insomma, come uno scolaro indisciplinato, venuto meno lo sguardo severo della maestra Europa, l’Italia è tornata a ignorare i diritti dei detenuti. Tra questi ci sono anche i reclusi in attesa di sentenza definitiva, dunque oggetto di misure di custodia cautelare: sono 19.308, cioè il 34 per cento del totale, di cui ben 9.261 persino ancora in attesa di primo giudizio (16 per cento). Tutti ancora teoricamente innocenti, ma condannati preventivamente. Dell’italica culla del diritto non v’è più neanche l’ombra.