Bordata dal Csm contro Davigo
I giudizi morali del pm e i danni di immagine per l’ordine giudiziario. Parla Galoppi
Roma. Dottor Galoppi, su La7 il presidente Davigo ha detto che chi non rifiuta la prescrizione deve vergognarsi. “Sta scherzando, vero?”. Sulle prime Claudio Galoppi stenta a crederci. In magistratura dal 1997, Galoppi è stato sostituto procuratore a Como, poi giudice a Milano. Oggi presiede la settima commissione del Csm. “Se il presidente Davigo ha detto così, resto allibito. Non spetta a un magistrato esprimere valutazioni morali sulle scelte processuali. La prescrizione è un diritto riconosciuto al cittadino dall’ordinamento. Un uomo di legge non può far passare l’idea che si tratti di un salvacondotto per disonesti. Il nostro dovere è applicare la legge vigente. La legge la detta il legislatore”. A sentire Davigo, “non c’è onore nel prendere la prescrizione”. “E’ un istituto legale con una precisa ratio: decorso un certo lasso di tempo dalla commissione del fatto, viene meno l’interesse dello stato a esercitare la pretesa punitiva. L’imputato che non rinuncia alla prescrizione agisce nel rispetto della legge”. L’imputato prescritto non merita le stimmate del colpevole? “Non esiste alcuna equazione tra prescrizione e colpevolezza. La seconda attiene a un giudizio di merito. Nel caso di estinzione per intervenuta prescrizione, tale giudizio non c’è”. “So distinguere i ladri dai non ladri”, ha tuonato l’ex presidente dell’Anm. Pure lei, dottore, si ritiene dotato di questa capacità discernitiva? “Senta, io diffido dei magistrati moralizzatori. Le generalizzazioni sono nemiche della verità. Il nostro compito è accertare responsabilità individuali in casi specifici attraverso una rigorosa ricostruzione dei fatti. Certe espressioni ultimative e assolutizzanti sono fuorvianti”.
“Capisco che le pronunci un politico, non un magistrato”, continua Galoppi, giudice e membro del Csm. “Mi auguro che lei stia scherzando…”. Io sono serissima. “Da magistrato provo un sincero imbarazzo nel dover commentare simili sortite. In primo luogo, un giudice in servizio non partecipa a talk-show politici lanciando giudizi morali e lasciandosi andare a commenti di natura politica. Forse io vivo su Marte…”. Davigo è tornato in Cassazione, ribadisce in ogni occasione che i magistrati non sanno fare politica, eppure corre da un convegno all’altro, partecipa alla festa del Fatto quotidiano, non sembra disdegnare il corteggiamento pentastellato. “Osservo con enorme circospezione i casi di vera o presunta contiguità con la politica”. Siamo tornati alla stagione degli Ingroia? “Il danno d’immagine per l’ordine giudiziario è il medesimo. Mi ha colpito una notizia di alcuni giorni fa secondo la quale si sarebbero tenuti tre incontri tra Davigo e i vertici del M5s per mettere a punto un emendamento volto a impedire la candidatura di un noto esponente politico”. Si riferisce alla norma ammazza-Berlusconi? Non ci sono conferme di quegli incontri. “Io mi auguro che arrivi presto una smentita. Se Davigo non smentirà, non potranno non esserci conseguenze”. Il modello del magistrato che parla attraverso le sentenze è passato di moda? “Un giudice, anche in virtù delle competenze tecniche di cui è depositario, può essere interpellato riguardo a procedimenti normativi che incidono, per esempio, sul sistema processuale. Esistono tuttavia severe limitazioni volte a tutelare l’immagine di terzietà, indipendenza e imparzialità che dobbiamo preservare per essere credibili di fronte ai cittadini”.
A compulsare le cause di illecito disciplinare, si scopre che sui magistrati grava non solo l’obbligo di riserbo sui procedimenti in corso ma anche il dovere di astenersi dal “rilasciare dichiarazioni e interviste in violazione dei criteri di equilibrio e misura”. Il Csm ha le armi spuntate? “Non abbiamo poteri diretti di censura, possiamo valutare le ipotesi di incompatibilità soltanto in relazione a condotte incolpevoli. E’ arduo sostenere che un magistrato che siede in uno studio televisivo agisca in assenza di colpa…”. Il ministro della Giustizia e il procuratore generale della Cassazione sono titolari dell’azione disciplinare. “Le ripeto: la notizia di un incontro politico per perfezionare un emendamento alla legge elettorale richiede una smentita. Si tratterebbe di una condotta gravissima”. Esiste un primato morale del magistrato? “Siamo uomini e donne in carne e ossa, tra noi ci sono professionisti e cialtroni, onesti e corrotti, come in ogni categoria. Anche noi commettiamo errori, per questo esistono le impugnazioni. Mi dispiace che certe uscite pubbliche gettino discredito sull’intera magistratura. Prestiamo un giuramento di fedeltà alla Repubblica. Forse io sono un romantico idealista ma la toga, mi lasci dire, va indossata con lealtà e rispetto”.