Il decreto intercettazioni fermerà il circo mediatico-giudiziario? Girotondo d'opinioni
Il Consiglio dei ministri approva il testo di riforma. I giornalisti potranno chiedere copia dei provvedimenti depositati durante le indagini e non più segreti. Ma molti esperti non credono che questo porrà fine alla stagione delle carte passate sottobanco
Il Consiglio dei ministri di oggi ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo che riforma la materia delle intercettazioni. L’ultima grande novità del testo, reintrodotta dal governo dopo i pareri delle Commissioni giustizia, riguarda il tema della pubblicazione delle intercettazioni e degli atti giudiziari in generale. A partire dal 2019, infatti, i giornalisti avranno il diritto di chiedere copia dei provvedimenti depositati durante le indagini e non più segreti, in particolare in materia cautelare. Questa sorta di “sportello”, di canale ufficiale per l’ottenimento da parte dei giornalisti di provvedimenti giudiziari ritenuti pubblici, secondo alcuni dovrebbe contribuire a porre fine alla stagione delle carte passate sottobanco ai cronisti. Ma molti esperti del settore, pur sottolineando gli apparenti segnali positivi della misura, non sembrano convinti che ciò accadrà.
“Piuttosto che avere un segreto istruttorio colabrodo, come è quello di oggi, con delle corsie preferenziali verso giornalisti amici dei magistrati, teoricamente sarebbe meglio avere uno sportello di trasparenza in cui c’è una par condicio nell’accessibilità delle informazioni da parte di tutti i giornalisti, con anche l’assunzione da parte di magistrati della responsabilità di quanto viene pubblicato”, commenta al Foglio Carlo Nordio, storico ex procuratore aggiunto a Venezia. “Il problema è però risolto solo nella teoria – aggiunge – perché accanto alle intercettazioni che saranno rese ostensibili da questo sportello, ce ne saranno altre che non saranno disciplinate, come non lo sono oggi. E poiché c’è ragione di credere che quest’ultime saranno quelle più succulenti e più pettegole, succederà ciò che accade già oggi, con fughe di notizie, magari spesso sponsorizzate da magistrati, e pettegolezzi nei confronti di terzi”.
Rendere il pubblico ministero responsabile della segretezza delle intercettazioni presenti in cassaforte non contribuirà infatti, secondo l’ex pm, a risolvere il problema: “Più si responsabilizza il magistrato e meglio è, ma le intercettazioni con valore processuale non restano solo nel cassetto del pm perché per definizione devono andare anche al gip, che deve sbobinarle, e devono essere viste dalle parti per esercitare il diritto di difesa. A questo punto non ha più neanche senso parlare di pm responsabile: lo è veramente solo quando è l’unico depositario delle intercettazioni, come accade oggi con le intercettazioni preventive. Resto convinto che fino a quando prevarrà una concezione delle intercettazioni come prove e non come strumento di ricerca delle prove potremo girare intorno al problema all’infinito ma gli inconvenienti resteranno”, conclude Nordio.
Non è convinto che il decreto possa fermare il circo mediatico-giudiziario anche Tullio Padovani, professore di Diritto penale all’Università Sant’Anna di Pisa e difensore in tanti casi giudiziari di primissimo piano: “Che il giornalista abbia un canale legittimo per accedere alle notizie suscettibili di essere divulgate lecitamente mi sembra un principio di civiltà. Quando un atto non è più segreto, perché è giunto a conoscenza del destinatario e quindi può essere soggetto a forma di divulgazione, pretendere che continui a circolare ‘alla macchia’ è una cosa mortificante, non solo per il giornalista, che viene così trasformato in uno spigolatore abusivo, ma per lo stesso ordinamento. Dubito però che questo meccanismo possa sfamare il giornalista, perché quest’ultimo ha come vocazione quella di sapere sempre più cose, anche ciò che dagli atti ancora non risulta”. “La vera questione – spiega Padovani al Foglio – è che in Italia c’è un asservimento dei giornalisti a una fonte esclusiva, costituita dagli atti giudiziari, soprattutto nella fase di indagini preliminari. Ciò comporta un quasi completo disinteresse verso la fase dibattimentale e la mancanza di un giornalismo di inchiesta. Così gran parte dei giornalisti si riduce a essere il megafono delle procure, tra l’altro col rischio, spesso da loro sottovalutato, di essere strumentalizzati”.
Per l’avvocato Elisabetta Busuito (Studio legale Perroni e Associati), il fatto che le stesse informazioni siano messe nella disponibilità indistinta di tutti i giornalisti è un fatto positivo: “La norma, almeno stando alla carta, va a disciplinare con maggiore trasparenza quelli che sono gli atti effettivamente accessibili da parte della stampa e potrebbe eliminare le asimmetrie di natura informativa fra i giornalisti”. Bisognerà vedere, però, in concreto “come questa norma verrà effettivamente applicata e se riuscirà a debellare il fenomeno di accesso a informazioni che non dovrebbero essere divulgate o a eliminare i casi in cui la stampa ottiene le notizie addirittura prima della persona interessata e del suo difensore”. “Diventa quindi fondamentale garantire una possibilità di intervento nell’eventuale violazione di queste norme – aggiunge Busuito – L’esperienza ci dice che determinate condotte che vanno a violare il segreto istruttorio non vengono poi particolarmente perseguite”.
“Facendo cadere il segreto, anche solo in relazione alle ordinanze che dispongono le misure cautelari, si assegna una netta prevalenza al diritto di cronaca giudiziaria”, nota con preoccupazione Vittorio Manes docente di Diritto penale all’Università di Bologna e legale in alcuni tra i più scottanti casi giudiziari degli ultimi anni. “La norma – prosegue Manes – in astratto mira a promuovere una maggior trasparenza, ma è abbastanza dubbio che ciò accada, perché nelle ordinanze che dispongono misure cautelari molto spesso sono contenute intercettazioni particolarmente favorevoli all’accusa, quindi si divulga un atto che ha un’impostazione indubbiamente colpevolista, con possibili risvolti anche a danno di terze persone. Questo meccanismo finirà quindi per essere fatalmente affidato alla deontologia del singolo giornalista. Diventa quindi sempre più urgente il tema della necessità di una cultura di cronaca giudiziaria attenta ai diritti fondamentali delle persone coinvolte”.
Pessimista, infine, anche l’ex procuratore capo di Prato, Piero Tony: “Sotto il profilo estetico sembra una misura civile, ma nella pratica credo che cambierà molto poco, perché ci sarà sempre la corsa dei giornalisti ad arrivare per primi alla notizia e il rischio di fughe di notizie resterà fino a quando le pene per questi reati non saranno sufficientemente elevate da fungere da deterrente”.
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