Cara Asia Argento, ecco perché non si può non essere garantisti quando si parla di molestie
Altro che ottocentesco e democristiano, il garantismo è il baluardo di una civiltà di diritto, soprattutto quando si parla di processi mediatici
Il tema del momento è quello delle molestie sessuali e non quello delle diseguaglianze o della violenza nel mondo. Molestie per la strada, nei posti di lavoro, a scuola, nelle chiese, dappertutto insomma secondo molti. Poi intervistano Brigitte Bardot e tante altre: nel corso della vita corteggiate sì, molestate mai, rispondono. Siamo sessuomani o siamo sessuofobi? Bah. Ma il fenomeno che più mi interessa a tal proposito è quello specifico delle molestie sessuali denunciate dopo anni se non decenni, quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Non voglio né saprei parlare compiutamente dei risvolti specialistici di natura antropologica, sessuologica, sociologica, eccetera, ma consentitemi poche parole sotto l’aspetto giuridico o, meglio, della giurisdizione. O meglio di quel garantismo penale che non è “la solita solfa”, ma civile preoccupazione per la casa comune e la condizione umana. Garantismo penale che – quale precondizione, come in ogni stato di diritto, di dignità, libertà e giustizia – non può evidentemente prescindere dal diritto (tale solo se assoluto e soprattutto effettivo in quanto azionabile, non basta la mera enunciazione vocale) di ogni soggetto processuale al rispetto delle regole di garanzia, in primis quella di reale partecipazione in contraddittorio secondo i canoni del giusto processo (art. 111 della Costituzione). Ecco, la vicenda di codeste sceneggiate malandrine a scoppio ritardato mi intriga – al di là della loro penosità – per l’impossibilità di effettiva partecipazione da parte degli accusati e, dunque, per l’irrealizzabilità di una difesa diversa da uno sconclusionato balbettio.
Il garantismo penale
non è la “solita solfa” ottocentesca,
ma civile preoccupazione
per la condizione umana
Con Woody Allen pareva fosse finita la ghiotta serie degli scandali sessuali, ma all’ultimo minuto zac, il pallone è stato clamorosamente rimesso in campo. Ancora uno. Ora c’è dentro anche il maestro Franco Zeffirelli, novantacinquenne per sua fortuna ancora baldo e arzillo. Anche lui. Credo che a questo punto non sia lecito né etico né possibile stare zitti, solo i cretini possono non essere spaventati da una svolta subculturale tanto abnorme da rendere risibili le ansie di Kafka. Non vorrei avesse davvero ragione, anzi mi impongo di escluderlo, un mio vecchio professore di Diritto penale che – era l’alba della blockchain e delle piattaforme di disintermediazione ogni giorno più attive – era angustiato dal trend verso una giustizia a furor di popolo sempre più sommaria, algoritmica e mediatica, e da una “datacrazia” sempre più spinta. Cantilenava, negli ultimi anni di vita, che questo andazzo (così lo chiamava) avrebbe portato l’umanità a ritenere disetico il fare figli ed etico il suicidarsi.
“Ricordo cose terribili di 25 anni fa accadutemi durante le riprese del film di Zeffirelli Storia di una capinera”. Secondo i media si è ricordato e ha raccontato dopo un quarto di secolo un attore americano fino a ieri non particolarmente noto. “Cose indicibili che mi hanno lasciato segni indelebili; ero un ingenuo giovinetto, solo 22 anni, me lo trovai in camera da letto e, paralizzato dall’età imberbe, dal maestro fui costretto a fare sesso”. Premesso che a quell’età Alessandro Magno, Cesare e Napoleone avevano già conquistato il mondo o erano sul punto di farlo, spero che voi assieme a me vi chiediate perché oggi e solo oggi codesto attore abbia denunciato il misfatto. Perché un novantacinquenne è meno pericoloso? O per crisi di astinenza rispetto all’attenzione mediatica venuta meno, insomma per ricerca di una perduta o mai avuta notorietà, o perché è di moda pentirsi dopo decenni di rimuginamento letargico? E spero che vi chiediate anche: parola contro parola e nessun riscontro può avere significato processuale? E, senza testimoni, è possibile indagare su cosa sarebbe successo 25 anni fa nel chiuso di una camera? E se no, quale l’effetto di codeste improvvisate denunce che non sia ovvio e prevedibile ossia, oltre alla sicura e indelebile diffamazione di una persona, da una parte il fuoco di paglia di una notorietà da titolone pruriginoso e, dall’altra, dopo anni di calvario una resa incondizionata per insufficienza di prove in ordine al lamentato abuso e all’ipotizzabile calunnia? Ma non può non essere ricordato, anche se già ne è stato detto e scritto tanto, l’inverosimile scandalo mondiale del sesso scatenato dall’eminente produttore, l’immaturo, coatto, immorale e spregiudicato Harvey Weinstein.
“L’odio universale” e l’unica garanzia per le donne di essere difese
e tutelate: denunciare sempre,
e denunciare subito
Mi riferisco all’attenzione planetaria prestata alle malefatte di quello che una volta ci si sarebbe limitati a definire vecchio sudicio approfittatore e sporcaccione. Ho preso a seguire sui media codesta vicenda – e gli sciami che ne sono scaturiti – con animo quasi di sufficienza, poi invece con viva preoccupazione da quando ho potuto leggere le dichiarazioni dell’avvocato Giulia Bongiorno, giurista per davvero e che quanto a professionalità ammiro da sempre: lo scambio sesso-carriera sarebbe divenuto fisiologico come lo erano le mazzette di Tangentopoli, come allora la pressione sarebbe dunque “ambientale”, ossia: o accetti la proposta sessuale o vieni esclusa. Il consenso espresso dalla supposta vittima sarebbe dunque viziato – e quindi inesistente – in quanto frutto della scelta del male minore, pertanto l’assenza di “libertà di autodeterminazione” costituirebbe violenza. Ma la vaga parolina “ambientale” in passato ha già colpito, forse troppo. Sarò ingenuo, ma credo che lo scambio sesso-carriera sia forse diffuso ma di certo non fisiologico. Mi è tornato in mente, non so perché, lo scherzoso sillogismo con cui ci allertava il professore di Filosofia a proposito delle false analogie: gli asini hanno due orecchi, voi avete due orecchi, voi siete asini. Insomma, sono preoccupato per colpa dell’avvocato Bongiorno. “Ehi, sii più preciso”, mi intima l’angelo custode mentre scrivo, “tira vento da santa inquisizione, se semini dubbi rischi gli attributi!”. Sì, ha proprio ragione, meglio pesare ogni parola. Mi pareva scontato e implicito ma ha ragione l’angelo, è più salutare esplicitare: quantomeno per primordiale empatia credo si possa premettere, tutti d’accordo, che qualsiasi violenza o minaccia volta a comprimere la libertà sessuale di qualsiasi persona rappresenti – sempre e comunque, uomo o donna che sia – fatto di immensa offensività da punire con pena proporzionalmente impietosa sia pure rieducativa. Ma ciononostante, corre l’obbligo di fare alcune considerazioni, forse temerarie vista l’allarmante aria da crociata che tira, ma per tante ragioni irrinunciabili, visto che il più delle volte si parla non di violenza e minaccia ma di scelte interessate rivelatesi poi tanto improvvide e infruttuose da ingenerare rincrescimento.
Ab ovo. Confessione preliminare: ripeto, a torto o a ragione per codesti improvvisi risvegli di memoria e di costumatezza, mi sono da sempre preoccupato più per le sorti dell’articolo 24 della Costituzione – cioè dell’assoluto e inviolabile diritto di difesa di tutti noi – che per quelle dei denuncianti tardivi, anche perché non è irragionevole pensare che dopo così tanti anni abbiano avuto il tempo sia di maledire la scelta fatta sia di elaborare l’eventuale disturbo post traumatico da stress.
Doverosa premessa. Ora – escludendo naturalmente le vicende con soggetti in età evolutiva, perché si sa che lo specifico minorile è retto da logiche diverse – è il momento dell’ovvietà. Cioè che da sempre il fare sesso ha presupposto – avete presente la danza dei fenicotteri? – manovre più o meno complesse e ritualizzate di reciproco studio e conoscenza; con il fine di progredire avanzando verso un condiviso punto di incontro, ciascuno sciorinando le proprie armi di seduzione. In fondo è la solita logica di mercato, non necessariamente contrattazione cinica, anzi quasi sempre edulcorata secondo culture, usi e costumi: il più delle volte, e per sommi capi, grazia, garbo, intelligenza, dolcezza, vitalità, simpatia e bellezza per le donne; e poi forza, potere, soldi, grinta e sicurezza per gli uomini. “Ehi tu, sei sicuramente matto a fare differenze di genere, senza accorgertene ti stai addentrando su sabbie minate oltre che mobili?!”, si fa vivo l’angelo, “oppure stai diventando masochista?”. Fingo di non aver sentito e proseguo. E’ in questa cornice che un tempo le esperienze sedimentate nei secoli o forse millenni avevano portato l’opinione comune a distinguere forse grossolanamente – in quanto l’attenzione era in prevalenza legata alla fisicità della condotta – ma con chiarezza e alla radice. Da una parte, l’implicito o dichiarato o ammiccante corteggiamento, dalla controparte accolto se ritenuto soddisfacente oppure respinto. Dall’altra l’azione minacciosa o violenta a fine di libidine dello stolto primitivo che, fregandosene dell’espresso rifiuto o manifesto dissenso, avesse preteso di fare sesso comunque. Quest’ultima è l’azione penalmente rilevante, e dunque costituente grave reato da denunciare subito o presto. Questa vile condotta di sconfinata pericolosità nei confronti dei diritti più intimi e sensibili della persona, da reprimere e punire prontamente nel modo più severo e concludente.
Lo scambio sesso-carriera sarebbe divenuto fisiologico come lo erano
le mazzette di Tangentopoli,
dice l’avvocato Bongiorno
Oggi non più. Oggi è “liquida” la società, liquida la cultura, sono liquidi i tempi di risposta, liquide le condotte e le reazioni, e lo scandalo Weinstein induce alla riflessione. Oggi non conta tanto la materialità del comportamento posto in essere quanto la sua interpretazione, e ciò offre ponti d’oro a eventuali malintenzionati. Ne consegue che con i processi mediatici, caro il mio angelo custode, soprattutto in materia di sesso, basta una denuncia in ritardo di 20 anni per fotterti la vita, visto che codesti processi il più delle volte non possono avere reale contraddittorio per via sia della naturale usura dei ricordi lontani sia dell’intrinseca evanescenza di un’accusa intranea e frontale, sia per il fatto che oggi appare eretico finanche ipotizzare che, almeno qualche volta, accuse così delicate possano essere false o errate o esasperate da aspettative tradite o infine solo strumentali.
E’ strano che oggi in buona parte del mondo non ci si scandalizzi più di tanto se ogni avance o corteggiamento o rapporto sessuale del passato appaia riconsiderabile con il senno di poi del denunciante, nonché giudiziariamente penalizzabile quando, reinterpretate le sottese intenzioni underground, possa appena delinearsi – ora per allora – violenza sessuale o atto persecutorio anziché imbranataggine o amore. Perché oggi, e quasi dappertutto, la mera prospettazione di un’utilità può essere definita violenza o ricatto, e la successiva scelta di diventare attrice anziché commessa può essere considerata consenso viziato. Non tutti sanno che, per tutte queste ragioni, dopo 25 anni il giudice dovrà valutare non l’apparenza ma l’intenzione del gesto, ovverosia dovrà calarsi nel foro interno del sospettato e ricostruire i suoi processi mentali per ritenere o escludere l’animus di libidine. E dunque oggi, la medesima condotta, potrà essere giudicata dal magistrato, ancora secondo i casi, delicatissimo gesto innocente oppure lesione bieca alla verecondia, ossia fatto da galera. Non tutti sanno che una mano sulla spalla, sul piedino, sul ginocchio (ricordate il ministro britannico Fallon e la carezza di 15 anni fa?) o sui capelli, secondo il codice penale, può rappresentare innocente gesto amichevole ma anche fatto imperdonabilmente lascivo e dunque atto sessuale. Una carezza sulla guancia tanto “insidiosamente rapida da superare l’eventuale volontà contraria del soggetto passivo” può giustamente costituire violenza sessuale (Cassazione costante da anni). Che, come celiava un vecchio amico magistrato, un’esplorazione rettale potrebbe integrare il reato di violenza sessuale a carico dell’urologo qualora il prostatico esplorato dovesse prima o dopo 25 anni denunciare come il medico – nonostante il suo tacito dissenso – indugiasse in modo sospetto e addirittura con sguardo ingiustificatamente brillante. Non tutti sanno che la differenza la fa quello che nelle aule giudiziarie viene chiamato “elemento psicologico”, e che la giurisprudenza ha individuato – con parametri necessariamente indeterminati – nell’animo concupiscente.
L’intervento giudiziario, divenuto qualche volta in subiecta materia sulle ali di un sessuofobico mainstream planetario, rischia di generare niente più che uno sgangherato populismo giudiziario (come si è accennato non limitato al nostro paese, visto che puritanesimo e caccia alle streghe sono ormai diffusi quasi dappertutto). Un tribunale, già in ordinaria difficoltà nel giudicare i fenomeni ovvero le apparenze esterne, ancor più difficilmente può dopo anni scandagliare o, meglio, radiografare l’epifenomeno, ossia l’elemento psicologico del foro interno, l’animus sotteso al gesto. I canoni comunicativi sono i più vari, e oltre alle regole comportamentali di rilievo penale nel quotidiano ne esistono altre assai eloquenti, che discriminano e informano anche su ciò che è sconveniente o temerario e ciò che non lo è, che puntualizzano sul grado di disponibilità o di ammicco e che definiscono le linee dell’inopportunità e dell’inesigibile.
Dopo decenni il giudice dovrà valutare non l’apparenza
ma l’intenzione del gesto,
per ritenere o escludere l’animus
di libidine
E’ in questa cornice che mi pare vadano inquadrati gli scandali tipo Weinstein, scandali dove non raramente le lamentele provengono da chi si è visto tradire nelle iniziali aspettative; dove in realtà le vere parti offese non sono i denuncianti ma i concorrenti esclusi, maschi o femmine che siano, perché non sono stati al gioco. E’ tutta da ridere e da piangere la condotta di chi furbescamente si affida dopo decenni allo sbrilluccicante processo mediatico ben sapendo come tutti che, oramai, non ci potrà essere un serio controllo giudiziario delle sue accuse. Ma c’è una domanda che mi arrovella in particolare: chi sarà stato quel primo giudice di common law, maledetto lui, a dar retta alla riserva mentale in materia di sesso? Ad attivare un simile sistema e farci entrare tutti, uomini e donne, in questo ginepraio inestricabile dove senza speranza – moderno supplizio di Tantalo – ci si lacera tra due impossibilità di pari grado, quella di punire con giusto processo gli accusati di squallide remote molestie e quella di sottrarre ogni cittadino alla spada di Damocle di accuse giudiziariamente inverificabili per tardività e assenza di riscontri sufficienti? Lugete o veneres cupidinesque et quantum est hominum venustiorum. E voi pregate, prima di addormentarvi, che non vi capiti qualcosa del genere, che qualcuno domani non esca dal letargo e non si ricordi di quella sera e di quel vostro mazzo di rose… smaccatamente insidioso.
Concludo con pochi fatti, certi, nella speranza di sfruculiare soprattutto i risoluti a oltranza.
Certo è che un tempo chi metteva a frutto le proprie grazie, a fini di carriera e a discapito di chi di grazie o di disponibilità ne aveva meno, pudicamente si sforzava poi di far cadere tutto nel dimenticatoio; semmai covando un’uggia nei più profondi recessi dei precordi che l’induceva al confessionale e non al talk-show. Da sempre norma primaria di civiltà impone di considerare pari a zero – sotto i profili sia etico sia giuridico – qualsiasi accusa da cui l’interessato non sia posto in grado di difendersi. Codeste denunce a megafono hanno invece per effetto quello di scatenare repentine e diffuse emozioni negative: chiamala malevolenza, chiamalo – come fa il direttore Cerasa – “odio universale” veicolato dalla rete, chiamala schadenfreude che, senza bisogno di essere veicolata, sotto la coltre di convenzioni religiose e civili probabilmente cova nella natura umana. Chiamale come vuoi ma sono così, avvampano e ustionano.
Ancora. E’ dato certo di comune esperienza, raramente messo in discussione, che la stragrande maggioranza degli approcci sessuali sgraditi potrebbe essere rintuzzata se, prima che si manifesti una qualsiasi condotta di minaccia o di violenza, eventualmente dopo un primo tentativo educato e al massimo irridente il “no” scoccasse immediato, chiaro, fermo, categorico, energico o se del caso urlato. Altro dato di comune esperienza di cui il nostro legislatore – a differenza di altri – non fa ma dovrebbe far tesoro: quando l’abuso sessuale o maltrattante si manifesta in ambito relazionale, la risposta penale rischia di aggravare le problematiche, come benzina sul fuoco, se non accompagnata da interventi sociosanitari tendenzialmente mediatori. Lo si dice da decenni in ottica propositiva, sarebbe una manna per i fatti di cui parliamo, ma le orecchie restano da mercante.
E allora cosa fare? Denunciare al più presto! Da tempo si stanno svolgendo meeting contro la violenza di genere, tra i più importanti l’ultimo di Montecitorio, “#InQuantoDonna”, ma ce ne saranno molti altri nei prossimi mesi. Quali occasioni migliori per un auspicio e una preghiera nell’interesse della persona, di qualsiasi genere sia: siccome la libertà è sacra – sia quella della sfera sessuale o dell’incolumità personale, che s’infrange “come cristallo”, si diceva un tempo, alla minima intrusione che non sia gradita; sia quella del diritto di difesa che, come già detto, notoriamente esiste solo se è assoluto – se vi capita la non gradita avance di un imbecille galletto coatto o dell’ebete mangiauomini giuliva non lasciate correre, vi prego; se fastidiosamente insiste offendetevi e, senza paura di offendere a vostra volta (come purtroppo sovente capita) pronunciate un chiaro “no”. Il più delle volte basterà, e quando non dovesse bastare, denunciate. Se vi capita invece il bravaccio che puzza di minaccia, ricatto o violenza, quello che soprattutto tra le mura domestiche non tollera rifiuti o disobbedienze di sorta, ribellatevi, subito e impietosamente e soprattutto inequivocabilmente. E senza rinviare precipitatevi al più vicino ufficio di polizia, dove troverete ascolto specializzato, comprensione, sostegno e avvio a “percorsi rosa” preferenziali e protetti. Nessun indugio. Perché certe odiose condotte, presupponendo alta e perdurante intensità di dolo e carenza assoluta di empatia (sì, proprio come quei “terribilmente normali” di Hannah Arendt), stanno a indicare capacità a delinquere pressoché infinita. E non solo perché la pericolosità di certi soggetti dipende da deficienze del profondo, e potrebbe tornare a insistere ancora chissà quante volte. Non solo perché va punito e rimesso in riga “uno così”, che considera l’altro quasi utensìle di poco conto (“vieni qua che ti adopero”, mi è capitato di leggere in atti giudiziari dei tempi bui). Non solo per questo! Esperienze secolari attestano che fare immediatamente la denuncia è molto meno pericoloso che non farla e non solo per voi. E poi consente – e non è poco – di fare processi giusti.