Giustizia & Pigrizia
Troppi giudici copiano e incollano le tesi dei pubblici ministeri. Un motivo in più per insistere sulla separazione delle carriere
Il tribunale del Riesame di Venezia ha annullato il provvedimento di arresto nei confronti di un uomo accusato, con gravi di indizi di reato, di omicidio preterintenzionale della propria compagna. A causare l’annullamento della misura cautelare è stato un errore del giudice delle indagini preliminari che aveva autorizzato la richiesta di arresto della procura: il gip di Treviso Angelo Mascolo (noto per la sua crociata in favore del possesso di armi e per aver annunciato di recente la propria candidatura alle elezioni politiche, salvo poi tornare sui suoi passi) ha infatti copiato di sana pianta intere parti delle motivazioni espresse dai pm. Il Riesame ha così ritenuto che mancasse un’autonoma valutazione dei fatti da parte del giudice, che si è limitato ad aderire pedissequamente alle argomentazioni della procura. L’uomo, accusato di aver picchiato la compagna, poi morta in ospedale dopo un mese di agonia, è stato rilasciato.
Una lunga casistica. Il caso del senatore Caridi: la decisione del gip copiata (3.165 righe su 3.200) dall’ordinanza della procura
Non è il primo caso di ordinanze di custodie cautelari annullate a causa di copia-incolla dei giudici rispetto ai testi prodotti dai pm. Esiste una lunga case history, diventata, di fatto, uno dei migliori spot in favore della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Lo scorso dicembre, ad esempio, la Cassazione ha annullato per la seconda volta la custodia cautelare nei confronti del senatore calabrese Antonio Caridi (Gal), in carcere dal luglio 2016 con l’accusa di associazione mafiosa, rilevando che la decisione del gip era stata quasi interamente copiata (3.165 righe su 3.200) dall’ordinanza di custodia cautelare stilata dalla procura.
Nel 2016 il tribunale del Riesame di Palermo ha annullato l’arresto nei confronti di ben 20 persone indagate con l’accusa di aver organizzato o favorito l’ingresso illegale di migranti facendoli figurare come addetti e impiegati di circhi equestri. La richiesta di arresto della procura era stata avallata dal gip che, secondo quanto scritto dal Riesame, avrebbe ricopiato le 420 pagine depositate dai pm aggiungendo “due (sole) pagine” nelle quali erano stati riportati “principi generali sul concetto di gravità indiziaria”.
Un’altra scarcerazione di massa si è avuta nell’ottobre del 2015, quando il tribunale del Riesame di Napoli ha annullato gli ordini di custodia cautelare nei confronti di 16 persone coinvolte in un’inchiesta di camorra, perché il Gip aveva “copiato pedissequamente la richiesta del pm, addirittura riproducendo la medesima suddivisione in paragrafi e utilizzando le stesse parole”. L’ordinanza, quindi, difettava del requisito della “autonoma valutazione” da parte del giudice.
C’è anche chi ha copiato in modo maldestro “il passo motivazionale di altro provvedimento emesso in un diverso procedimento penale”
Nel 2012 un altro caso, probabilmente il più discusso, sempre a Napoli: il Riesame annulla l’arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa nostra, Totò, accusato di concorso esterno in associazione camorristica. Il gip si è limitato a riassumere la richiesta di arresto della procura, incappando peraltro in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza neanche le parole “questo pm” con “questo gip”. Persino l’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, improvvisamente folgorato sulla via di Damasco nella sua nuova vita di avvocato, alcune settimane fa, intervistato dal Dubbio, ha lanciato l’allarme: “Basta con i gip copia-incolla. Da avvocato vedo cose folli!”.
Siamo di fronte a un’emergenza copia-incolla di giudici e pm? In realtà la copiatura dei provvedimenti dei secondi da parte dei primi (chiaramente quelli che presiedono l’udienza preliminare, non il dibattimento) è sempre stata prassi piuttosto comune. E’ proprio per cercare di limitare questa deriva che il Parlamento, sull’onda di una giurisprudenza di Riesame e Cassazione sempre più critica, è intervenuto nel 2015 con la riforma dell’istituto della custodia cautelare (legge n. 47). La novità più importante della riforma è rappresentata dall’inserimento all’articolo 309 del codice di procedura penale (alla fine del comma 9) della frase: “Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’art. 292 c.p.p., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”.
Ciò significa che il giudice, nell’autorizzare la misura cautelare proposta dal pm, deve procedere con una valutazione autonoma degli elementi emersi nel corso delle indagini: deve avanzare proprie argomentazioni critiche e non può limitarsi alla mera esposizione delle risultanze investigative né alla mera pedissequa riproposizione degli argomenti sviluppati dal pm nella richiesta di emissione della misura cautelare. Ma non basta: come previsto dal comma 2 ter dell’articolo 292 c.p.p., il giudice, pena la nullità del suo provvedimento, deve tenere conto anche della valutazione degli elementi a favore dell’indagato, contenuti sia negli atti presentati dalla difesa sia nel fascicolo del pm (l’art. 358 c.p.p. prevede infatti l’obbligo, spesso dimenticato, del pm di raccogliere elementi anche a favore dell’indagato qualora questi emergessero dalle indagini in corso).
In altre parole, il giudice non deve recepire in maniera acritica le argomentazioni avanzate dal pm nella richiesta di misura cautelare (altrimenti che giudice sarebbe?), ma deve esaminare gli atti in modo autonomo, leggendoli, studiandoli e confrontandoli (incrociando, cioè, gli elementi dell’accusa con quelli della difesa). E’ per questo che la risposta del giudice Mascolo (“La prossima volta cercherò di scrivere di più”), accusato di aver portato alla scarcerazione di un presunto omicida con i suoi copia-incolla, non coglie nel segno: ciò che la legge e la giurisprudenza chiedono non è di impolpare i provvedimenti di considerazioni inutili, tanto per allungare il proprio testo rispetto a quello redatto dai pm, quanto di mostrare di aver almeno letto le carte.
Certo, di fronte alle montagne di fascicoli di indagine che spesso affollano le scrivanie, è forte per il giudice la tentazione di risparmiare tempo e fatica scopiazzando intere sezioni direttamente dalle ordinanze dei propri colleghi pm, tanto più se si considera la facilità con cui è possibile oggi compiere il gesto sullo schermo di un computer (con le puntuali combinazioni di tasti Ctrl + C per copiare e Ctrl + V per incollare). E’ stato lo stesso tribunale del Riesame di Napoli a notarlo, bocciando l’ordinanza che disponeva l’arresto per indagati di camorra che ricordavamo prima: “L’intervento del legislatore si è ritenuto necessario in considerazione della circostanza, che non sfugge agli addetti del settore, che l’avvento della tecnologia con la trasmissione informatica dei files ha inciso profondamente sulla tecnica di redazione dei provvedimenti cautelari consentendo la trasposizione di intere parti di informativa”. “Atti di indagine – prosegue il Riesame – che in passato necessariamente venivano riportati per sintesi ragionata, risultando in tal modo sottoposti ad un vaglio, sia pur minimo, del giudice”.
In effetti, ci sono stati anche casi in cui la tecnica del copia-incolla è completamente sfuggita di mano, come nel maggio del 2012, quando la Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip di Napoli poiché redatta “ricopiando, in maniera disattenta quanto maldestra, il passo motivazionale di altro provvedimento emesso in un diverso procedimento penale”. Il gip in questione, cioè, si era spinto persino a ricopiare passaggi di altri provvedimenti cautelari, che con la vicenda non c’entravano niente, riferendosi ad esempio al “capillare controllo del territorio” di un gruppo di spacciatori e alla loro “commercializzazione di sostanze stupefacenti di diverso tipo”, nonostante la vicenda oggetto del procedimento riguardasse un gruppo criminale attivo nel traffico internazionale di un unico tipo di droga e senza alcun controllo del territorio.
L’altro caso esemplare è quello che si registrò a Milano nel dicembre 2010, quando la procura del capoluogo lombardo chiese la carcerazione di un ex sindaco locale trascrivendo nella richiesta interi passaggi di un altro parere già espresso nei confronti di un altro indagato, senza ricordarsi di cambiare il nome della persona interessata. Come se non bastasse, il gip non si accorse di nulla, accogliendo la richiesta di carcerazione.
Nel 2014 sempre la Cassazione annullò un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, la cui motivazione era costituita dalla trascrizione integrale della richiesta del pm, seguita solo dalla locuzione: “Ricorrono, sulla base delle considerazioni sopra esposte, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai gravi reati ipotizzati”.
Infine, terminando questa rassegna dell’orrore, spicca l’episodio avvenuto nell’ottobre del 2007 a Trento, quando il gip accolse la richiesta di custodia cautelare andando ben oltre il copia-incolla, rinviando direttamente alla lettura delle schede personali redatte dalla polizia giudiziaria che erano state allegate alla richiesta del pm. Insomma, anziché valutare gli elementi prodotti dall’accusa e della difesa, il giudice si affidò completamente agli atti predisposti dalla polizia giudiziaria (senza neanche riportarne stralci, ma rinviando alla loro lettura). Una decisione annullata dalla Cassazione, che sottolineò la mancanza di “valutazione critica degli elementi indiziari e della gravità degli stessi, propria del provvedimento giurisdizionale, che non può essere rimessa alla ricostruzione contenuta nella relazione della polizia giudiziaria”.
Il gip non sostituisce nella sua ordinanza neanche le parole “questo pm” con “questo gip”: il Riesame annulla l’arresto di Gaetano Riina
Il divieto di fare copia-incolla, comunque, non si traduce nell’obbligo di riscrivere da zero l’ordinanza di custodia cautelare. Come ha evidenziato Luigi Giordano, magistrato addetto all’ufficio del massimario della Corte di Cassazione, in un articolo pubblicato in Diritto penale contemporaneo nel luglio 2015, l’obbligo di autonoma valutazione comporta per il giudice “l’obbligo di dare dimostrazione di aver valutato criticamente il contenuto degli atti dell’indagine e di averne recepito il tenore perché funzionale alle proprie determinazioni”. In questa prospettiva non è escluso il ricorso al copia e incolla, ma i passaggi riportati “dovrebbero essere intervallati da commenti del giudice, da un lato necessari per manifestare il giudizio su tali elementi, dall’altro indice del fatto che sono stati adeguatamente ponderati dal giudicante”. In alternativa, il giudice “dovrebbe redigere punti di sintesi relativi ai gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze di cautela, i quali, però, andrebbero corredati dagli opportuni riferimenti alle pagine precedenti relative all’esposizione dei dati forniti dal pubblico ministero, allo scopo di rivelare l’approfondimento compiuto; i richiami agli atti delle indagini, inoltre, non dovrebbero essere vaghi o ampi, ma puntuali e specifici”.
Nonostante la riforma del 2015, però, come abbiamo visto continuano a registrarsi periodicamente casi di gip che, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per pigrizia se non addirittura completo appiattimento alle richieste dei pubblici ministeri, procedono al copia-incolla dei provvedimenti redatti dai propri colleghi requirenti, per poi essere bocciati dai tribunali del Riesame o dalla Cassazione. E c’è da credere che non sono poche le circostanze in cui ciò avviene, se si considera il richiamo che lo stesso procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, ha voluto lanciare a tutte le toghe all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha sottolineato con preoccupazione i “casi di ‘copia-incolla’, non solo di provvedimenti del gip rispetto alla richiesta del pubblico ministero, ma anche di richieste cautelari del pm rispetto al rapporto informativo della polizia giudiziaria”.
La prassi del copia-incolla dei giudici rispetto ai testi dei pm finisce così per rappresentare inevitabilmente il miglior manifesto in favore della separazione delle carriere fra funzione giudicante e funzione requirente. Lo scorso 31 ottobre, l’Unione camere penali italiane ha depositato a Montecitorio 60 mila firme a sostegno del progetto di legge di iniziativa popolare per la separazione delle carriere. Alla consegna dei plichi, il presidente dell’Ucpi, Beniamino Migliucci, ha dichiarato: “Non è una riforma contro la magistratura, ma nell’interesse del cittadino, che ha diritto di essere giudicato da un giudice distinto da chi accusa”. E magari che non sia un copione.