Avvocati fiancheggiatori
Mai visti tanti avvocati così appiattiti sui teoremi delle procure. Il ruolo inutile e redditizio delle parti civili nei processi di mafia
Se dipendesse dall’avvocato di una delle parti civili, Massimo Ciancimino “minimo minimo” si meriterebbe “la concessione delle attenuanti generiche” per le patacche rifilate in questi anni ai pubblici ministeri. O meglio, un’attenuante speciale, non prevista dal codice di procedura penale ma molto di moda fra pentiti e dichiaranti, quella della paura.
La paura che in alcuni ragionamenti, con una linearità da montagne russe, finisce per mettere sullo stesso piano i collaboratori di giustizia Giuseppe Monticciolo e Gaetano Grado, il figlio dell’ex sindaco di Palermo e Agnese Borsellino, la vedova del giudice Paolo massacrato dalla mafia. Un pot-pourri difficile da digerire quello presentato al processo Trattativa dall’avvocato dell’Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili.
E’ più comodo associarsi alle richieste dei pm e presentare una memoria scritta allegando la nota spesa e la richiesta di risarcimento
Le cronache giudiziarie raccontano dell’abitudine delle parti civili di appiattirsi sulla posizione dell’accusa. Non dovrebbe essere scontato, ma di fatto lo è. Le critiche sono rare, rarissime. Si assiste quasi sempre a pubbliche lodi al grido “ma quanto sono bravi i pubblici ministeri”. E’ più facile e comodo associarsi alle richieste della procura e presentare una memoria scritta – scarne paginette il più delle volte – allegando la nota spesa e la richiesta di risarcimento. Si indica una cifra e poi ci si affida al buon cuore della Corte che stabilirà quanto pesa il danno subito.
L’avvocato Danilo Ammannato, che rappresenta i parenti dei morti di Firenze, le “tessere di sangue” di una stagione terribile, si è spinto oltre i pubblici ministeri, offrendo alla valutazione della Corte di assise di Palermo una teoria giustificazionista delle bugie di Ciancimino, teste principale che rischia cinque anni di carcere per avere calunniato l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, mentre la prescrizione potrebbe salvarlo dalla condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il sostituto procuratore Antonino Di Matteo durante la requisitoria ha cercato di smarcarsi dal traballante testimone, incensato e difeso per anni: “Altro che processo basato sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Che ci sia stata una trattativa fra i boss e rappresentanti delle istituzioni emerge dalla lettura delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”. Ciancimino è stato “un testimone importante” che però, a un certo punto – il pm ha usato una frase forte – “si è volontariamente suicidato, creando i presupposti per non essere creduto” nonostante avesse detto alcune verità.
Nella giungla della professione forense ci sono due boe di salvataggio: i gratuiti patrocini e la costituzione di parte civile
A molti pentiti, quasi tutti per la verità, la memoria della Trattativa è venuta strada facendo. Come non comprenderli, avevano paura di raccontare degli indicibili accordi, di tirare in ballo i potenti delle istituzioni. Un sentimento che, secondo alcuni, va accomunato al travaglio della signora Agnese Borsellino, una donna a cui uccisero il marito con le bombe, spegnendo per sempre la speranza della normalità. A diciassette anni dall’eccidio di via d’Amelio Agnese Piraino Leto raccontò di avere avuto paura “non tanto per me, ma per i miei figli e poi per i miei nipoti. Adesso però so che è arrivato il momento di riferire anche i particolari più piccoli o apparentemente insignificanti”. E così ricostruì le ore che precedettero la strage, quando il marito le disse di avere “appena visto la mafia in faccia…”, chiamando in causa magistrati e poliziotti.
“Allora spiegatemi perché Monticciolo può avere paura, Grado può avere paura, Agnese Borsellino può avere paura. E viceversa un Ciancimino… ma signori giudici umanamente è una colpa avere paura?”, si è chiesto l’avvocato Ammannato durante la sua arringa al bunker del carcere Ucciardone che ospitò il maxi processo. E’ il percorso dichiarativo del figlio dell’ex sindaco che rende scivolosissimo l’accostamento. La paura è comprensibile, ingiustificabili sono le fantasie, di cui sono zeppi i verbali del testimone. C’è un episodio degno di nota non fosse altro per il fatto che finora è sfuggito alle cronache. Il fantomatico signor Franco, canaglia delle canaglie, l’uomo della mafia nelle istituzioni, onnipresente nei misteri italiani, su cui Ciancimino jr ha detto tutto e il contrario di tutto, riconosciuto e disconosciuto decine di volte, a un certo punto si è scoperto che “viaggiava con l’elicottero del Vaticano”. In due occasioni era stato l’autista di don Vito ad accompagnare il sindaco mafioso di Palermo a Ciampino. “In una di queste due occasioni – disse Ciancimino jr – credo che c’era il Santo Padre che rientrava non so da che visita”. Peccato che l’autista, Franchino Costantini, lo ha smentito. Un altro legale di parte civile, l’avvocato Francesco Bertorotta, che assiste De Gennaro – la sua è stata una costituzione battagliera – ha usato l’arma dell’ironia: “Signori miei, questo Franco aveva contatti celestiali, a quel tempo il Papa era Wojtyla, è morto e non lo avremmo mai potuto citare”. Risulta davvero difficile comprendere cosa c’entri la paura con tutto questo. Misteri dell’imperscrutabile mente umana.
Sulla parolina magica, Trattativa, l’appiattimento delle parti civili è stato assoluto. Dall’avvocato dell’associazione Libera a quello del comune di Palermo. Tutti a dire che la Trattativa ci fu. Ammesso che sia andava veramente così – è il cuore del processo – il punto è che della Trattativa non c’è traccia nel capo di imputazione visto che, codice alla mano, si parla di minaccia o violenza a un corpo politico. Nell’impostazione dell’accusa i boss minacciarono lo stato con le bombe. E i politici, i carabinieri sotto processo? Nel loro caso la minaccia è stata surrogata in intermediazione. “Con una lettera firmata, oppure presentandosi con la coppola di Totò Riina?”, ha replicato l’avvocato Basilio Milio che difende il generale Mario Mori, invocando chiarezza sulla condotta contestata ad alcuni imputati. Si vedrà. Il processo è ormai alle battute finali.
Dall’avvocato dell’associazione Libera a quello del comune di Palermo, tutti a dire che la trattativa Stato-mafia ci fu
Nel frattempo l’avvocato Salvatore Battaglia dell’associazione Libera ha fatto proprio il concetto della “intermediazione”. Almeno nel suo caso, c’è da apprezzarlo, il legale ha parlato a lungo davanti alla Corte di assise, cercando di far valere le proprie ragioni. Articolato pure l’intervento di Ettore Barcellona che ha ricordato l’impegno e la tradizione del Centro Pio La Torre per sviluppare la cultura della legalità. A evitare di incidere sulla soglia di attenzione di giudici, togati e soprattutto popolari, ci hanno pensato i legali della presidenza del Consiglio dei ministri e della regione siciliana. Non una sola parola in più di quelle necessarie per associarsi alle richieste dell’accusa e annunciare il deposito dell’obbligatoria comparsa conclusionale. Pochi secondi di rappresentanza per chiedere risarcimenti da centinaia di migliaia di euro, con la quasi certezza che non beccheranno un solo quattrino. Al massimo incasseranno le spese legali che, a volte, bastano e avanzano. Non è il caso dell’Avvocatura dello Stato, dove i legali hanno uno stipendio, fisso e sostanzioso.
La procedura prevede un doppio binario. I risarcimenti per i parenti delle vittime di mafia sono liquidati attingendo al “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti”, attivato dal ministero dell’Interno. Un fondo che viene alimentato con le confische. Enti e associazioni, invece, devono presentare il conto agli imputati condannati che spesso risultano nullatenenti. Magari non lo erano e lo sono diventati perché colpiti dalle misure patrimoniali. Insomma, le speranze di incassare sono prossime allo zero. In entrambi i casi, sia per le persone fisiche che per le associazioni, i soldi “sicuri” sono quelli delle spese legali per le quali si attinge al fondo nazionale. Sono le prefetture a valutare chi ne abbia diritto e chi no. Esiste un registro delle associazioni le cui maglie si sono ristrette parecchio. Fino ad alcuni anni fa erano piuttosto larghe.
Uno dei guasti dell’antimafia è stato il proliferare delle parti civili. “Signor giudice, non ci resta che aspettare la costituzione dei boy scout”, disse qualche tempo fa un avvocato, Giuseppe La Barbera, che difendeva un mafioso palermitano. Il tono era volutamente provocatorio, ma aveva centrato il cuore della questione. Per anni tutti si sono sentiti danneggiati, anche coloro che la mafia l’hanno vista solo nelle fiction televisive. Si sobbarcavano lunghe trasferte in macchina da un tribunale all’altro della Sicilia con codici e codicini sottobraccio pur di tentare di costituirsi. Bastava aggiungere la parolina magica “legalità” o, peggio, il nome di una vittima della mafia nello statuto per accreditarsi e accomodarsi al tavolo delle parti civili, speranzosi di incassare un lauto risarcimento.
Enti e associazioni devono presentare il conto agli imputati condannati che spesso risultano nullatenenti
Contano solo i piccioli. Il ruolo processuale viene dopo. E che ruolo, visto che la parte civile è un attore principale del processo. Entra in contraddittorio con il giudice, il pubblico ministero e il difensore dell’imputato, porta prove e cita testimoni, nomina consulenti tecnici, chiede il sequestro conservativo dei beni e impugna le sentenze. Una faticaccia, meglio alzare la mano e limitarsi a fare annotare la presenza in aula. Nella giungla della professione forense, in cui si affollano ogni anno migliaia di nuovi iscritti, ci sono due boe di salvataggio: i gratuiti patrocini e la costituzione di parte civile. Perché non sfruttare il brand antimafioso?
I figli di Paolo Borsellino dovettero abbandonare il doloroso riserbo che si sono imposti per vietare a un’associazione di Marsala di usare il nome del padre. Non aveva alcun interesse, neppure geografico, a costituirsi parte civile al processo sull’omicidio di un ragazzo crivellato di colpi per le strade del rione palermitano Santa Maria del Gesù, ma la “Paolo Borsellino onlus” provò a entrare lo stesso nel processo. Dopo un paio di tentativi arrivò la diffida dei Borsellino e l’associazione decise di cambiare nome.
Della proliferazione delle parti civili a un certo punto si sono stancati gli stessi avvocati penalisti. “Esprimiamo solidarietà alle parti offese, se ritengono di avere subito un danno è giusto che si costituiscano, ma bisogna mettere un freno – disse un altro avvocato palermitano, Jimmy D’Azzò –. Ci sono associazioni che davvero svolgono un ruolo nel territorio, ormai riconosciuto e storicizzato, ma ce ne sono altre che hanno un mero ruolo di facciata. Si presentano in aula senza nemmeno conoscere il processo”.
Il modello siciliano ha fatto proseliti oltre lo Stretto. Quando a Roma scoprirono che la mafia è anche Capitale si creò la fila al bunker di Rebibbia. Una pletora di associazioni, partiti politici ed enti locali si autoproclamarono parti lese. In cinquanta furono cacciati dal processo. L’indirizzo per fortuna negli ultimi tempi è cambiato. I giudici sono molto più rigidi, ma la distrazione è sempre dietro l’angolo. Capita così che qualcuno riesca ancora a infilarsi. Se ne starà buono buono in aula e quando arriverà il suo momento si assocerà alle richieste dei pubblici ministeri allegando la comparsa conclusionale, la richiesta di risarcimento danni e la nota spesa. Che a volte basta e avanza.