Perché la riforma penitenziaria non è un "svuota carceri"
Il governo ha approvato la riforma dell’ordinamento penitenziario. Salvini annuncia che sarà cancellata. Per l'Associazione Antigone, chi insiste con espressioni apocalittiche specula sulle paure dei cittadini
Era il 2013 quando l'Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani per le condizioni vergognose di vita nelle carceri italiane. A cinque anni di distanza il governo ha approvato una riforma dell’ordinamento penitenziario nella quale, come ha spiegato il ministro della Giustizia Andrea Orlando, è stata inserita “una norma che dice che si deve valutare il comportamento del detenuto: se ha studiato, se ha lavorato a un certo punto la pena può essere trasformata in un altro tipo di pena che restituisca qualcosa alla società con il lavoro, anche risarcendo il danno che con il reato ha prodotto”. Naturalmente la riforma non varrà per tutti: chi si è macchiato di delitti di mafia e terrorismo sarà escluso. Secondo il Guardasigilli “si tratta di un provvedimento che serve ad abbattere la recidiva: siamo un paese che spende quasi 3 miliardi di euro tutti gli anni per eseguire le pene, ma purtroppo abbiamo ancora un tasso di recidiva tra i più alti d’Europa. Con questo intervento andiamo in un’altra direzione: più studio e lavoro nel carcere e più restituzione ai cittadini di quanto si è tolto con il reato”. Dalle statistiche di cui il ministero della Giustizia ha tenuto conto nell'elaborazione della riforma, emerge infatti che per chi sconta la pena in carcere il tasso di recidiva è del 60,4 per cento, mentre per coloro che hanno fruito di misure alternative alla detenzione scende al 19 per cento, ridotto all'1 per cento per quelli che sono stati inseriti nel circuito produttivo.
Secondo Orlando, “il giudice potrà valutare più seriamente caso per caso il comportamento dei singoli ed evitare quello che oggi avviene, cioè che trascorso un certo periodo a prescindere dal comportamento, se non c’è stato nessun evento negativo, il detenuto può essere liberato e può godere dei benefici. Oggi ogni singolo detenuto sarà valutato sulla base del comportamento tenuto all’interno del carcere e nel periodo di reclusione”.
Non la pensa così il segretario della Lega Matteo Salvini, che tuona: “Vergogna, un governo bocciato dagli italiani approva l'ennesimo salva ladri. Appena al governo cancelleremo questa follia nel nome della certezza della pena: chi sbaglia paga!”. E per il senatore forzista Maurizio Gasparri, si tratta dell’“ennesimo atto scellerato contro gli agenti che lavorano nelle carceri e a favore di chi invece ha commesso reati ed è in carcere per scontare la propria pena”. Una speculazione che tenta di cavalcare le paure dei cittadini, secondo Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, che da anni si batte per i diritti dei detenuti. “Si insiste con espressioni apocalittiche ed enfatiche – dice al Foglio – intorno a una riforma che in realtà non ha nulla di radicale, che ha pochi sebbene importanti cambiamenti. Era prevedibile: la campagna elettorale ‘non è finita’. Chi urla parlando di svuota carceri è in malafede, perché non è vero, non si svuota proprio nulla”.
L’importante, sostiene Gonnella, è che “chi voglia formarsi la propria opinione legga il testo della riforma o senta gli esperti. Per esempio, chiunque abbia un figlio poliziotto preferirebbe che passasse la propria giornata ad aprire e chiudere porte in modo ossessivo e ripetitivo come nel lavoro dell’Ottocento o preferirebbe piuttosto che suo figlio facesse un lavoro di osservazione più razionale, che fosse impegnato in attività meno alienanti? Oltre al fatto che tenere persone chiuse in cella 22 ore al giorno non significa aumentare la sicurezza per il cittadino ma significa solo aumentare la frustrazione, la vittimizzazione e l’aggressività dei detenuti. Significa abbrutirli: è un regalo alla criminalità, alla violenza”, ribatte Gonnella. “Al contrario la riforma propone un modello di vita più aperto, ricco di opportunità di vita normale” anche all’interno delle strutture penitenziarie. “È un passo in avanti su temi delicati come la salute psichica, l'accesso alle misure alternative, la vita interna alle carceri, i rapporti con l'esterno, il sistema disciplinare”, dice Gonnella.
Prima che le regole oggi approvate si trasformino in legge c'è tuttavia ancora da attendere. Devono nuovamente tornare in Senato (che probabilmente sarà quello eletto il 4 marzo) per ulteriori 10 giorni e poi definitivamente essere varate con decreto legislativo dal governo. “Il punto vero è proprio questo: siamo ancora lontani, il passaggio in Senato è obbligato, ma una volta che quel passaggio sarà finito manca l’ultimo step. Ci sarà poi tempo fino a inizio luglio, prima che la delega decada. Dunque – dichiara Gonnella – c'è ancora da fare pressione e da non allentare la tensione poiché, in questa fase postelettorale, i tempi potrebbero dilatarsi e la delega decadere. Bisogna vedere che governo ci sarà, ma da parte nostra c’è speranza e responsabilità”.
Dopo una flessione nel numero dei detenuti seguita alla sentenza Torreggiani, con la quale la Corte europea dei diritti umani condannò l'Italia per trattamenti inumani e degradanti, negli ultimi tre anni si è assistito ad un aumento costante delle presenze in carcere. Si è infatti passati dai 53.889 detenuti del gennaio 2015 ai 58.087 di gennaio 2018. La riforma dell'ordinamento penitenziario, che contiene importanti novità in particolare sulle misure alternative alla detenzione, dovrebbe dare l'opportunità di tornare a far calare gli attuali numeri con ripercussioni positive sulla vita in carcere. Esistono infatti questioni aperte ormai da tempo che, proprio a causa del sovraffollamento, non riescono a trovare soluzioni. Tra queste ad esempio la necessità di ampie ristrutturazioni degli istituti. In più della metà delle strutture visitate da Antigone (50 su 84) ci sono celle senza doccia e in 36 ci sono celle senza acqua calda, in violazione di quanto prevede la legge. In 4 istituti visitati ci sono addirittura celle in cui il WC non sta in un ambiente separato dalla cella in cui i detenuti mangiano e dormono. Dall’attività di osservazione dell’Associazione risulta poi che almeno un quinto dei detenuti è affetto da una patologia psichiatrica.