La giustizia diventa surreale caccia alle streghe: emoticon fuorilegge
Così un sequestro avventato della Guardia di Finanza rischiava di mettere al tappeto senza motivo decine di commercianti
Roma. La caccia alle streghe mascherata da lotta all’evasione e alla contraffazione ha una nuova vittima, questa volta insolita: le emoticon, cioè le faccine degli stati d’animo, che tutti i giorni usiamo nelle chat di WhatsApp o Facebook, ma che ormai hanno preso piede anche al di fuori dei servizi di messaggistica online. Lo scorso ottobre, infatti, la Guardia di Finanza – con convalida delle procure di Reggio Emilia, Ancona e Rimini – ha eseguito il sequestro d’urgenza di oltre 3.000 prodotti tra giocattoli e gadget venduti in numerosi negozi e catene commerciali sparse per il territorio nazionale, ipotizzando il reato di contraffazione del marchio “Emoticons”. Sui prodotti “incriminati”, commercializzati dalla società tedesca “Out of the Blue”, dal 1986 tra i più grandi esportatori in tutta Europa di articoli da regalo, alla moda e da scherzo, sono infatti raffigurate icone riconducibili ai vari stati d’animo (gioia, rabbia, pianto, amore ecc.): tazzine con una faccina con gli “occhi a cuore”, cuscini con sopra un’emoticon che fa la linguaccia, salvadanai con uno “smile” con gli occhiali da sole. Secondo gli inquirenti, questi prodotti rappresenterebbero una riproduzione contraffatta di un generico marchio “Emoticons”.
Il 27 dicembre scorso, a distanza di oltre due mesi dal sequestro, che ha paralizzato l’attività di vendita di molti commercianti, il Tribunale del Riesame di Reggio Emilia ha decretato il dissequestro dei prodotti, dando ragione alla “Out of the Blue” – difesa dall’avvocato Antonio Bana – sull’insussistenza di elementi sufficienti a sostenere l’accusa di contraffazione.
I legali hanno ottenuto che dai giudici fosse riconosciuto che la riproduzione in sé degli stati d’animo delle persone, avendo carattere descrittivo e generico, non può essere oggetto di alcun copyright, a meno che non si faccia riferimento a una particolare combinazione di colori, font, forme grafiche e altro. Eppure, a fronte della molteplicità di marchi “Emoticons” esistenti, nel decreto di sequestro non viene in alcun modo individuato il particolare marchio “Emoticons” rispetto a quale s’ipotizza la contraffazione. Non viene in alcun modo indicato, inoltre, in che misura il marchio sarebbe stato contraffatto e apposto sulla merce sequestrata, né vengono analizzate in alcun modo le caratteristiche sospette di contraffazione dei diversi beni posti in sequestro.
Come se non bastasse, al contrario di quanto affermato nel provvedimento di sequestro, i prodotti sequestrati non riportano impressa la dicitura “Emoticons”, ma soltanto il marchio della società produttrice, la “Out of the Blue”, peraltro legittima titolare di un marchio denominato “Emotion”.
Insomma, per evitare di mettere al tappeto senza motivo decine di commercianti, sarebbe bastato non tanto verificare i marchi esistenti, ma semplicemente dare uno sguardo ai prodotti che si stavano sequestrando. L’iniziativa avventata della Guardia di Finanza è stata bocciata senza mezzi termini dai giudici del Tribunale del Riesame di Reggio Emilia, che nell’accogliere la richiesta di dissequestro scrivono che “non è dato comprendere” sulla base di quali criteri il marchio impresso sui prodotti sequestrati “sia stato stimato ‘presumibilmente contraffatto’”, tanto più se si considera che “non risulta individuato il marchio genuino cui fare riferimento nel giudizio di comparazione, né il relativo titolare”. Non solo: secondo i giudici, i prodotti parrebbero “del tutto sprovvisti di segni distintivi in qualche misura suscettibili di confronto per similitudine con quelli oggetto di privativa industriale registrata”. Ancor più paradossale è il funzionamento a macchia di leopardo della giustizia italiana: dopo la bocciatura del Tribunale di Reggio Emilia, infatti, il sequestro dei prodotti è ancora valido a Rimini e ad Ancona, dove ancora devono essere discusse analoghe istanze di dissequestro. E intanto il danno economico e d’immagine per i commercianti aumenta.