Senza riforma delle intercettazioni resta il “naming and shaming”, che errore
L’affossamento di una riforma non perfetta, ma utile
Al direttore - Il nuovo ministro di Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede, ha bloccato quasi nel silenzio, praticamente nessuno ne ha parlato, l’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni, promossa dal precedente ministro Orlando, che avrebbe dovuto operare a partire dal mese di luglio.
Credo che sia stato uno sbaglio. Uno dei cardini della riforma era un meccanismo che avrebbe fortemente ridotto il rischio che intercettazioni con informazioni sensibili anche su soggetti terzi e non necessarie per le indagini potessero essere diffuse senza criterio alcuno come purtroppo spesso è avvenuto.
Prevedeva infatti la costituzione di un Archivio riservato, di cui sarebbe stata responsabile la Procura, che le avrebbe rese inaccessibili e a questo sistema di controllo si accompagnavano serie sanzioni in caso di divulgazione.
Certo non era una legge perfetta ma non era una legge bavaglio per la stampa e introduceva comunque un principio di responsabilità. Alcune difficoltà che il sistema poteva creare per la difese, interessate comunque a recuperare anche le conversazioni che l’accusa aveva ritenuto non rilevanti, potevano col tempo essere corrette.
L’iniziativa del ministro è avvenuta senza la prospettazione di alcun progetto alternativo e quindi le intercettazioni torneranno in quel caos senza regole che tutti abbiamo conosciuto in questi anni. L’annullamento della riforma è stato voluto anche da buona parte della magistratura, ma non tutta, si è espresso in modo opposto ad esempio il procuratore di Torino Armando Spataro, ed il consenso a questo passo indietro non è un buon segno.
Ci sarà di sicuro qualche pubblico ministero che, scampato il pericolo di una regolamentazione un po’ più seria, sarà tentato di usare le conversazioni registrate non per la prova di reati ma per adornare le indagini con spezzoni di frasi difficili da interpretare ma ad effetto. Conversazioni magari riferite anche a persone che non c’entrano nulla con il reato in modo da dare alle sue inchieste maggior risonanza mediatica e favorirne anche un uso politico.
Questa tecnica nei paesi anglosassoni si chiama Naming and shaming, mettere in piazza intercettazioni che non servono per giudicare ma per esporre, con l’ausilio dei media, la vittima alla gogna. Nel nostro paese si usa un’espressione più volgare, che non ripeto. Sui giornali le rivedremo presto. Intanto buone vacanze.
Guido Salvini, magistrato