Legnini saluta il Csm e ricorda il vero guaio italiano: l'inefficienza della giustizia
Nell'ultimo discorso in questo ruolo, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura ricorda che “le istituzioni democratiche compiono un loro percorso che si realizza quando si esaurisce un ciclo e si passa il testimone”
Roma. “Giunge il momento in cui si ha la consapevolezza che il cammino non è compiuto ma non si ha più il tempo per concluderlo”, Giovanni Legnini cita Norberto Bobbio nel suo ultimo discorso da vicepresidente del Csm. L’avvocato che, quattro anni or sono, fu eletto al vertice di Palazzo de’ Marescialli, vicario del capo dello stato, tra roventi polemiche per essere il primo esponente politico catapultato da un ruolo nell’esecutivo (sottosegretario all’Economia nel governo Renzi) direttamente al vertice dell’autogoverno togato, ricorda che “le istituzioni democratiche compiono un loro percorso che non è mai davvero concluso e si realizza, in realtà, quando si esaurisce un ciclo e si passa il testimone”.
Nella sala Bachelet il plenum, presieduto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (all’epoca dell’insediamento giganteggiava la figura di Giorgio Napolitano), ascolta le parole di un servitore dello stato, un totus politicus, cresciuto a pane e partito, dai fasti del Pci fino alle ultime piroette targate Pd, un professionista della legge che in questi anni ha saputo deporre l’abito dell’uomo di parte per ricoprire un incarico di straordinario prestigio con competenza e rigore istituzionale. Chi si aspettava una “Legnini Revolution” è rimasto deluso, non è nello spirito moderato dell’uomo; a ciò si aggiunga che in diversi settori, a partire dal disciplinare, quelle del Csm sono obiettivamente armi spuntate, e la responsabilità è in capo al legislatore.
Forse il principale lascito della consiliatura testé conclusa è racchiuso in un numero che Legnini menziona con una punta di orgoglio: “Ben 1043 sono stati i conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi, in un contesto di autentica emergenza per la necessità di provvedere al ricambio della dirigenza giudiziaria a seguito della repentina riduzione dell’età del collocamento a riposo obbligatorio”, cavallo di battaglia di Matteo Renzi in piena epopea rottamatrice. Si citano poi le 66.600 delibere approvate dal plenum in oltre 260 sedute, insieme alle circa 18 mila definite in commissione nella valutazione di professionalità dell’intero novero dei magistrati, per non parlare dei 700 procedimenti disciplinari.
Nella “incisiva attività di autoriforma” rientra la nuova disciplina di funzionamento del Consiglio, ispirato ai principi di collegialità, trasparenza ed efficienza, nonché le regole rinnovate per il conferimento degli incarichi, attività delicatissima che chiama in causa le correnti. “E’ principalmente su questa funzione – dichiara Legnini nel suo ultimo giorno da vicepresidente – che s’impone l’ardua mediazione insita nell’amministrare e scegliere in collegio, nonché il peso dell’appartenenza alle componenti associate in magistratura”; una mediazione più facile a dirsi che a farsi giacché, evidenzia Legnini, “la discrezionalità valutativa mai deve straripare e travolgere l’obiettiva misurazione del merito nei giudizi comparativi tra gli aspiranti”; d’altro canto un suo “eccessivo restringimento può produrre il rischio di una svalutazione e burocratizzazione della funzione del Csm e persino dell’aumento del tasso di contezioso”.
La zampata del lupo abruzzese, sulla cui sorte futura qualcuno pronostica la corsa per la presidenza della sua regione, si manifesta sul finire a proposito dell’“indipendenza percepita” del magistrato. “Anche al giudice, nello stato costituzionale di diritto, spetta di percorrere i difficili sentieri della legittimazione”, stavolta Legnini attinge al pensiero dotto del giurista Carlo Mezzanotte, allievo di Leopoldo Elia. “In una democrazia pluralista a legittimare la posizione del giudiziario non basta più solo l’investitura conseguente al concorso d’ingresso e l’autorevolezza che sprigiona dal ruolo in quanto tale”; appare invece più necessario, “per preservare l’effettività del valore dell’indipendenza e assicurare il consenso sociale intorno all’ordine giudiziario tutto, sostenere tempi e qualità dell’offerta di giustizia”. Il ruolo del magistrato si espande al pari della sua responsabilità dinanzi ai cittadini e alle loro aspettative crescenti. Sarà questa, con ogni probabilità, la principale sfida, quella dell’efficienza, che i neoconsiglieri dovranno affrontare da qui al 2022.