Foto Imagoeconomica

Le mosse di Ermini al Csm per non finire nella rete di Bonafede

David Allegranti

Woodcock e il doppio incarico di Michele Emiliano. Perché il neo vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura potrebbe sottrarsi dal dare giudizi  

Roma. Basso profilo, per il neo vicepresidente del Csm David Ermini – che venerdì prossimo, come prima sortita, parteciperà a un convegno di Magistratura Indipendente e poi andrà a Sorrento al congresso dell’Unione delle Camere Penali – significa evitare strumentalizzazioni politiche. Compito non così a portata di mano, visto che le etichette di “renziano” e “ex deputato del Pd” difficilmente potrà togliersele. D’altronde sono parte della sua storia politica, che Ermini rivendica. Per questo, il vicepresidente del Csm potrebbe evitare subito un paio di pietre d’inciampo.

   

A novembre, la Sezione disciplinare del nuovo Csm appena insediato dovrà giudicare i pm di Napoli dell’inchiesta Consip Henry John Woodcock e Celestina Carrano, come previsto dall’articolo 105 della Costituzione, che attribuisce al Consiglio superiore della magistratura la possibilità di adottare provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. La Sezione disciplinare è presieduta dal vicepresidente del Csm, ma Ermini quel giorno potrebbe essere (non casualmente) altrove per impegni, evitando così di partecipare al giudizio su Woodcock e Carrano e lasciando tutto nelle mani di Fulvio Gigliotti, professore arrivato al Csm in quota Cinque stelle.

  

Secondo l’accusa, i due magistrati di Napoli avrebbero violato i diritti di difesa di Filippo Vannoni, uno degli indagati nell’inchiesta su Consip, e per l’appunto da deputato Ermini si è schierato apertamente in difesa dell’ex segretario del Pd sul caso (“Prima si prende di mira Renzi poi si lavora sulle indagini? Ci sono mandanti?”). Adesso vuole tenersi lontano da ulteriori polemiche dopo l’attacco del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: “Prendo atto che all’interno del Csm, c’è una parte maggioritaria di magistrati che ha deciso di fare politica”. Una condotta che il vicepresidente del Csm vuole mantenere anche in altre situazioni. Per esempio nel caso di Michele Emiliano, anche lui sotto giudizio del disciplinare per via del suo doppio incarico, di politico e di magistrato.

  

A luglio la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità sollevata dal Csm sulle norme che vietano l’iscrizione e la partecipazione sistematica e continuativa dei magistrati ai partiti. La richiesta era stata avanzata, appunto, nel corso del procedimento disciplinare al quale è sottoposto Emiliano, magistrato che da anni ricopre molti incarichi elettivi e ruoli dirigenziali nel Pd. Il governatore della Puglia adesso rischia un ammonimento, la censura o, peggio, la perdita dell’anzianità. Anche in questo caso, a presiedere il disciplinare potrebbe non essere Ermini. Giudicare un “compagno di partito” non farebbe parte del profilo di imparzialità che l’ex responsabile giustizia del Pd intende mantenere. Una sponda paradossalmente gliel’ha data Piercamillo Davigo, membro togato e suo avversario al Csm. Su La7 martedì scorso ha spiegato, sì, di non aver votato per Ermini e che secondo lui “bisognava cercare chi era meno coinvolto in attività di partito”. Però, ha aggiunto, “qui c’è un difetto tutto nazionale che sono le polemiche successive: quando uno viene eletto credo che poi sia il presidente di tutti, punto e basta. Faccio un esempio del diverso atteggiamento che c’è all’estero rispetto all’Italia. Quando venne eletto presidente degli Stati Uniti Barack Obama il suo rivale John McCain, che aveva fatto una campagna elettorale molto dura, disse queste parole: pochi minuti fa ho avuto l’onore di congratularmi con il nuovo presidente degli Stati Uniti. Io vorrei sentire i politici italiani comportarsi così”. Dopo gli attacchi del ministro Bonafede, un assist inaspettato.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.