Marco Travaglio (foto LaPresse)

Perché Travaglio ha perso un'altra causa con Tiziano Renzi

Annalisa Chirico

Ha diffamato il padre dell'ex premier sul caso Consip, dice il giudice, e ora deve risarcirlo 

Ci risiamo. A voler impiegare il linguaggio inquisitorio in voga da quelle parti, dovremmo sentenziare che il direttore del Fatto quotidiano è recidivo. A distanza di meno di un mese, il giudice civile di Firenze torna a condannare Marco Travaglio in una causa con Tiziano Renzi. Il primo dovrà corrispondere al secondo una somma pari a 50mila euro, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, per le affermazioni diffamatorie pronunciate dal giornalista nel corso di una puntata di "Otto e mezzo" su La7.

 

  

Era il 9 marzo 2017, e nello studio televisivo di Lilli Gruber c’ero anch’io. Preso dalla foga in un confronto acceso sull’inchiesta Consip, Travaglio si spinse ad affermare che dagli atti giudiziari fosse emerso un quadro inquietante: “Il padre del capo del governo si mette in affari o s’interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo”. Quegli atti li avevamo letti in tanti, non solo lui, tra colleghi ce li trasmettevamo su Whatsapp (‘tu ce li hai?’, ‘ecco qua’), io ne scrivevo da giorni, avevo compulsato le carte esattamente come decine di cronisti, e di questi presunti “affari”, non meglio specificati, non avevo trovato traccia.

 

Gli inquirenti battevano la pista del traffico d’influenze, della mediazione sospetta, della millanteria, ma che il padre dell’ex premier avesse concluso o fosse in procinto di concludere affari con le aziende pubbliche era una ipotesi inesistente nella prospettazione accusatoria. Allora, sentite le parole pronunciate con sicumera dal direttore, provai a far notare, proprio sul punto, che, allo stesso dell’arte, gli elementi per adombrare accuse così gravi erano insussistenti a meno che Travaglio non fosse in possesso di informazioni riservate, ai più ignote: “Il direttore ci dà una notizia!”, dissi.

 

Di tutta risposta, Travaglio mi mise in guardia dal rischio, diciamo così, che il pm partenopeo Henry J. Woodcock potesse decidersi a querelarmi per le mie affermazioni critiche nei confronti del magistrato. Bene, a distanza di mesi dai fatti, possiamo affermare che le cose sono andate diversamente: Woodcock, dopo aver perso in tribunale in una causa contro di me (una delle tante), ha preferito rimettere le querele ancora pendenti per non pagare, partita chiusa; il giudice civile di Firenze, stamane, ha nuovamente condannato Travaglio nel match infinito con Renzi sr. riconoscendo il carattere diffamatorio delle affermazioni testé citate. “Le parole pronunciate dal giornalista hanno connotazioni oggettivamente negative, alludendo le stesse ad un contesto di malaffare e ad un intreccio di interessi privati, economici e politici ad elevati livelli […] Nel suo insieme e nel suo impianto, l’intervento del giornalista è demolitivo nei confronti dell’attore e di suo figlio, sul fronte etico, politico e della dignità personale”. Più avanti: “L’offesa è, nel caso di specie, tanto più grave in quanto si mettono in relazione gli affari personali dell’attore con l’ascesa politica del figlio che, all’epoca dei fatti (cui si fa riferimento nell’ambito della trasmissione), era stato capo del governo e, quindi, figura istituzionale dalla quale tutti si attendono attenzione e sensibilità per gli interessi dello stato”.

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