Mafia e appalti, Scarpinato querela ma rischia il boomerang
Il pg di Palermo accusa Il Dubbio di diffamazione, ma dagli atti aumenta il mistero sull’archiviazione dell’indagine che portò all’uccisione di Falcone e Borsellino
Il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, e l’ex sostituto procuratore del capoluogo siciliano, Guido Lo Forte, hanno sporto querela per diffamazione nei confronti del direttore del quotidiano Il Dubbio, Piero Sansonetti, il giornalista Damiano Aliprandi e la testata stessa, di fronte alla procura competente di Avezzano. I due magistrati (anche se Lo Forte è ora in pensione) si sono sentiti diffamati da una serie di articoli, pubblicati lo scorso maggio e giugno sul Dubbio, incentrati sull’indagine mafia-appalti portata avanti da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (con il supporto dei carabinieri del Ros guidati dall’allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno) tra la fine degli anni ’80 e il 1992, quando vennero ammazzati da Cosa nostra. Un’indagine dalla quale emergeva per la prima volta l’esistenza di un comitato d’affari, gestito dalla mafia e con profondi legami con politici e imprenditori di rilievo nazionale, per la spartizione degli appalti pubblici in tutta la Sicilia. L’inchiesta venne considerata di importanza cruciale nella lotta a Cosa nostra, prima da Falcone e poi da Borsellino che, in seguito alla morte del suo collega nella strage di Capaci, si disse deciso a rilanciare il filone di indagini parlandone anche con Antonio Di Pietro, che all’epoca stava conducendo l’inchiesta su Mani pulite. L’indagine spaventò (e non poco) Cosa nostra, tanto che secondo la sentenza del processo “Borsellino quater” sulla strage di Via D’Amelio, pronunciata dalla Corte d’Assise di Caltanissetta il 20 aprile 2017, e la sentenza definitiva del processo “Borsellino ter”, pronunciata il 22 aprile 2006 dalla Corte d’Assise di Appello di Catania, fu proprio l’attenzione posta all’inchiesta mafia-appalti (e non la presunta trattativa Stato-mafia) a spingere Cosa nostra a uccidere Paolo Borsellino.
Ciò che per certi versi è ancora avvolto nel mistero, e che ha indotto Il Dubbio a pubblicare la serie di articoli “incriminati”, è la dinamica attraverso la quale gli allora sostituti procuratori di Palermo, Scarpinato e Lo Forte, chiesero e ottennero l’archiviazione dell’indagine sugli appalti: il 13 luglio 1992, con Borsellino ancora in vita e deciso a riprendere il lavoro avviato da Falcone (ritenendolo persino una causa dell’uccisione del suo collega), i pm Scarpinato e Lo Forte avanzano la richiesta di archiviazione dell’indagine, che viene vistata – cioè ufficialmente depositata – dall’allora capo procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, il 22 luglio, solamente tre giorni dopo l’assassinio di Borsellino. L’indagine viene poi archiviata a tempo record, il 14 agosto, quindi in pieno periodo ferragostano, dal gip Sergio La Commare.
Rileggendo gli articoli pubblicati sul Dubbio si fa fatica a comprendere dove Scarpinato e Lo Forte abbiano intravisto “i tasselli di una vera e propria campagna diffamatoria” nei loro confronti. Da una parte, Aliprandi si è limitato a ricostruire, con un’attenta analisi dei fatti accertati in sede processuale, le tappe con cui l’indagine mafia-appalti venne avviata e condotta da Falcone e Borsellino e infine archiviata; dall’altra, il direttore Sansonetti si è limitato ad avanzare, anche in maniera educata, alcune logiche domande: “Archiviando quelle indagini, alle quali Falcone teneva moltissimo, fu buttato a mare un pezzo molto importante dell’impegno antimafia dello Stato italiano. Oggi il dottor Scarpinato può dirci perché chiese quella archiviazione? Può spiegarci se ricevette pressioni? E perché il dossier non arrivò mai a Borsellino? Nessuno dubita della buonafede di Scarpinato, neppure lontanamente, ma se lui stesso sollecita trasparenza sarebbe giusto innanzitutto che fosse lui stesso a offrire trasparenza, no?”.
Ad ogni modo, leggendo le carte depositate da Scarpinato e Lo Forte per sporgere querela, emerge un elemento nuovo nella vicenda relativa all’indagine mafia-appalti, che Il Foglio è in grado di rivelare. Nel fascicolo di querela, infatti, i due magistrati hanno allegato una relazione che presentarono (insieme al collega Vittorio Aliquò, all’epoca anch’egli sostituto procuratore di Palermo) al Consiglio Superiore della Magistratura il 7 dicembre 1992, cinque mesi dopo l’uccisione di Borsellino, per chiarire proprio le dinamiche con cui la procura aveva portato avanti e poi archiviato l’indagine sugli appalti (anche per replicare all’accusa, avanzata all’epoca da alcuni giornali nei confronti della procura di Palermo, di aver “insabbiato” un’indagine ritenuta di così fondamentale importanza da Falcone e Borsellino).
Scrivono Scarpinato, Lo Forte e Aliquò nella relazione: “(…) quindi dopo un approfondito studio della posizione degli altri indagati, nel mese di giugno 1992 si provvedeva alla stesura di una richiesta di archiviazione che veniva sottoposta all’esame del Procuratore Capo, dott. Giammanco, e che dopo essere stata da lui vistata veniva formalmente depositata il 13 luglio 1992”. In realtà, come dimostrano gli atti ufficiali, la richiesta di archiviazione venne avanzata da Scarpinato e Lo Forte il 13 luglio, ma venne vistata e depositata da Giammanco il 22 luglio, dopo soli tre giorni dalla morte di Borsellino. Insomma, la relazione inviata dai sostituti procuratori di Palermo all’organo di autogoverno della magistratura per chiarire le proprie posizioni e difendersi dall’accusa di aver “insabbiato” l’indagine, contiene un’inesattezza piuttosto importante: quando la richiesta di archiviazione fu depositata, Borsellino non era ancora in vita, ma era stato ucciso da appena tre giorni, secondo alcune sentenze recenti proprio per l’interesse da lui mostrato nel portare avanti l’indagine. Si tratta di un’incongruenza temporale che, senza alcun intento polemico né diffamatorio, riteniamo sia meritevole di un chiarimento da parte di Scarpinato e i suoi ex colleghi.