“Caro Davigo, questo non è un paese fatto di presunti colpevoli”, dice Bruno Vespa
Appunti per l'Italia giustizialista e populista, ai tempi della “rivoluzione” dei partiti anti sistema
Roma. “Mentre mia nonna aveva la foto di Giovanni XXIII sul comodino e qualcun altro ha le foto dei figli o un libro, il dottor Davigo sul comodino ha le manette”. E’ con questa battuta tagliente che Bruno Vespa, ospite la scorsa settimana a DiMartedì su La7, ha provato a mandare giù le sparate giustizialiste con cui l’ex pm di Mani pulite in quei minuti stava rappresentando la solita Italia fatta di ruberie diffuse, corruzione, classe dirigente deviata e impunità. Ha risposto punto per punto, l’inossidabile conduttore di Porta a porta (da alcuni giorni nelle librerie con il suo ultimo libro, Rivoluzione-Uomini e retroscena della Terza Repubblica, edito da Mondadori), poi però non ce l’ha fatta, si è arreso, e quasi affranto si è rivolto a Giovanni Floris confidando: “Non mi riconosco nell’Italia di Davigo”. Abbiamo chiesto allora a Vespa di spiegarci meglio quale sia l’Italia di Davigo in cui non si riconosce: “E’ un’Italia di presunti colpevoli – spiega al Foglio – E’ vero che in Italia c’è un elevato tasso di evasione fiscale e di corruzione, ma non possiamo dire che il nostro sia un paese malsano. Ci sono delle patologie che vanno risolte. La magistratura spesso ci riesce, ma purtroppo altre volte tiene sotto scacco anche tantissime persone che poi verranno completamente prosciolte, dopo aver passato anni di inferno”. Insomma, Vespa non accetta la premessa fondamentale del pensiero davighiano, e cioè “che siamo tutti in libertà provvisoria”.
Ma la “rivoluzione” dei partiti anti sistemi, descritta con retroscena e interviste esclusive nel suo ultimo libro, è dunque anche una rivoluzione giustizialista? “La ragione principale di questa rivoluzione – spiega Vespa – è la mancata crescita del paese negli ultimi vent’anni. Che poi le opposizioni, da almeno dieci anni, si siano abbeverate di giustizialismo mi pare evidente e questo ha contribuito al successo del Movimento 5 stelle, che è il partito giustizialista per eccellenza”. Attorno alla riforma della prescrizione, però, l’intesa tra Lega e M5s pare traballare, tanto che alcuni prefigurano una crisi di governo: “Non credo che queste tensioni porteranno a una crisi – replica il conduttore di Porta a porta – E’ tutto rinviato a gennaio 2020 e allora saranno successe tante di quelle cose che si può fingere che il problema non esista. Però, in effetti, i partiti di maggioranza hanno raggiunto un accordo sulla base di un equivoco. La posizione del M5s è che il 1° gennaio 2020 entrerà in funzione il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, per la Lega questo è subordinato a un’effettiva riforma del processo, cosa che francamente non è facile fare in un anno, conoscendo anche i tempi italiani”.
Ma la vittoria dei partiti populisti si spiega solo guardando alla crisi economica? “L’aspetto economico è fondamentale – chiarisce Vespa – Sia il centrodestra che il centrosinistra hanno fallito: sono aumentati la spesa pubblica, il deficit, la disoccupazione, le disuguaglianze. Quindi è fisiologico che si voti per i partiti anti sistema. C’è poi il fattore Europa, che ha aggravato questo quadro, perché per uscire dalla crisi c’è bisogno di iniziative forti. Decidere sempre all’unanimità diventa praticamente impossibile in un’Europa allargata, in cui ci sono tanti paesi lontani tra loro per tradizioni, situazione economica e popolazione. Ovviamente se un paese decide di restare nell’Ue è vincolato alle sue regole, e questo è stato un’altra ragione decisiva della rivoluzione antisistema”.
Qual è allora la chiave per i partiti tradizionali per riconquistare il consenso perduto? “Devono rifondarsi e ripartire, e secondo me c’è spazio per farlo, sia per Forza Italia sia per il Partito Democratico. Purtroppo il Pd con questa quantità smisurata di candidati non mi pare messo sulla buona strada, perché chiunque vinca non avrà una leadership forte. In Forza Italia bisogna vedere come Berlusconi si giocherà la carta de ‘L’altra Italia’”.
Può essere vincente per i partiti tradizionali una strategia di avvicinamento alle posizioni degli avversari populisti, insomma, un tentativo di romanizzare i barbari? “Se diventano populisti anche i partiti moderati siamo finiti – risponde netto Vespa – Ricordo quando, ai tempi del Psi, Francesco De Martino disse: ‘Non farò alleanze se non con il Pci’. Ma è chiaro che tra l’originale e la copia, un elettore preferisce sempre l’originale. I moderati devono suggerire riforme radicali, anche nel segno europeo e anche prendendo spunto da ciò che di buono sostengono i partiti populisti, ma mantenendo la propria identità”.