Le Défenseur, Honoré Daumier

L'avvocato degli avvocati

Carmelo Caruso

La giustizia, la letteratura e il processo come malattia (vedi Alice e Josef K.). Intervista a Bruno Cavallone

Sono tempi di “contratti di governo”, “penali da pagare”, “statuti da rispettare”, “concessioni da revocare”. Insomma, qui ci vuole un avvocato, meglio anzi un professore. “Mi definisca un procedurista…”. Ma così si sminuisce! “Sono un uomo discreto”. Andiamo incontro al nostro avvocato che non è certo Giuseppe Conte, quello del popolo, ma l’unico che tra i suoi clienti possa vantare Josef K, Alice nel paese delle meraviglie e perfino Pinocchio. Bruno Cavallone è infatti l’autore del saggio La borsa di Miss Flite, pubblicato da Adelphi, un percorso per immagini e racconti intorno al tema della giustizia. Ha insegnato diritto processuale a Parma e Milano dove è possibile incontrarlo. L’oggetto della visita è l’ultimo volume che il professore ha curato: “Sa, un libricino…”. Il titolo del libricino di cui Cavallone rimpicciolisce la fatica è Avvocato, non parla: che cos’ha? (Edizioni Henry Beyle). “Che dice? Le piace come titolo?”. Molto. “E’ un verso della Signorina Felicita di Guido Gozzano. L’ho trovato particolarmente felice per un’opera che definisco un’antologia personale”.

      


Con “Avvocato, non parla: che cos’ha?” (titolo che è un verso di Gozzano) torna in libreria l’autore del saggio “La borsa di Miss Flite”


   

Cavallone ha scelto e tradotto alcuni passaggi della letteratura dove per una volta non si scrive in maniera malevola degli avvocati ma con indulgenza e affettuosità. “Le maldicenze sarebbero state facilissime da elencare, più difficile sono i testi dove l’avvocato è osservato con malinconia e tenerezza”. Lo racconta seduto nella sala riunioni del suo studio legale, a pochi metri dal centro di Milano, appoggiando il gomito su un tavolo dalla lunghezza fuori misura. Dice subito che si è congedato dall’insegnamento nel 2010, (“Ho frequentato l’ università per 55 anni”). Dalla professione si è allontanato, (“Oggi mi limito a salvare qualche collega che ha commesso degli errori procedurali”). In studio viene però quotidianamente, (“Da mattino fino a tardo pomeriggio”). Di statura è piccino e i suoi passi sono passettini. Gli occhi? Azzurrissimi e lucidi come sfere di vetro. Per proteggersi dalla vastità degli spazi, Cavallone sceglie di sedersi in un angolo dove la conversazione si può fare più intima e calda. Tutti si chiederanno quali libri contenga la sua libreria. Che domande. Ovviamente c’è tutta la sapienza giuridica che Cavallone conserva ma non ostenta. Sugli scaffali sono pazientemente raccolti codici in pelle di marocchino, tomi di articoli di legge rilegati con copertine del rosso più acuto e ancora preziosissime riviste di diritto radunate e rigorosamente catalogate. Lui stesso è un direttore. Insieme a Carmine Punzi dirige la rivista di Diritto processuale che nel 1924 è stata fondata da Piero Calamandrei, Francesco Carnelutti e Giuseppe Chiovenda.

  

Cavallone è nato a Milano ma è figlio del più giovane maresciallo italiano nella storia della Guardia di Finanza. Era di Casale Monferrato. La madre era proprietaria di un negozio di fiori. A Torino. “Mio padre era andato ad acquistare dei fiori, mia madre stava… e il resto potete immaginarlo”. Il padre lasciò la Finanza ma venne incaricato di vigilare sulle imposte generali delle entrate. “In pratica quella che è poi stata chiamata Iva. Era bravissimo con i numeri e non a caso desiderava che mi iscrivessi alla Bocconi. Ho patteggiato. Ho scelto Giurisprudenza”. Alla fine, Cavallone si è dedicato al diritto civile ma da giovane ha esercitato anche il penale. “Confesso, rare volte. Non mi sono mai sentito a mio agio. Forse perché mi ritengo un uomo di libri e di scrittura e non di tormento”. Il penale è l’ora del dramma? “Pensate all’udienza. Cosa c’è di più teatrale e drammatico di un’udienza penale? Carnelutti sosteneva che il penale ha come materia l’essere, mentre il civile l’avere. Personalmente lo trovo più rilassante”. Lo dice con sollievo come se avesse scampato una tempesta e dunque un pericolo. “Contribuire a mandare in galera un innocente rimane inquietante. Non avrei retto il disagio della colpa. Ho cercato di evitare perfino il diritto di famiglia. Non mi piace la tensione”. Avvocato, la sensazione è che lei voglia sottrarsi al “processo”. “Mi hanno sempre stimolato le cause che sembrano aride e che invece hanno sottigliezze psicologiche. Le liti nascondono sempre dei complessi di inferiorità. La contesa del patrimonio tra fratelli cela delle gelosie di infanzia”.

  


“Il processo”, “Casa desolata”, “Alice”: romanzi che testimoniano come di fronte al processo ci sia quasi una cupa forza attrattiva


       

La contingenza tuttavia ci impone di non divagare. Abbiamo un premier che si è presentato come “avvocato del popolo”. Occorre dunque un suo parere; naturalmente giuridico. “Oramai c’è la tendenza a dare una dimensione giuridica anche in politica. E per carità, il diritto è onnipresente. Ogni gesto della nostra vita ha rilievi giuridici: dal biglietto del tram, fino allo scontrino della spesa. E però, è pericolosissimo elevarsi ad avvocato del popolo. Anche perché, qui, l’unico popolo che vedo all’orizzonte è quello degli avvocati. Tantissimi. Troppi. Una moltitudine”. E dunque Cavallone rileva che davvero siamo il paese che imbroglia Renzo e che gli ruba i capponi. “Posso fornirvi un dato interessantissimo. Se si mettono insieme gli albi degli avvocati del foro di Milano e di Roma, si ottiene l’intero numero di avvocati di Francia”.

  

L’avvocatura è una patologia? “Purtroppo devo dire di sì. Siamo un popolo litigiosissimo che non sa perdere. Non è vero che abbiamo tre gradi di giudizio, in Italia ce ne sono almeno otto. Primo grado, appello, Cassazione, la Cassazione che riapre e il processo che ricomincia”. A volte, però sana l’errore del giudice, in alcuni casi la corruzione perfino. “Io in questo sono anomalo. Non personifico mai il giudice. Io credo nel giudice con la G maiuscola. Un giudice è per funzione integerrimo e laborioso. La persona può non esserlo”. Negli ultimi anni non sono mancati i casi di confusione giudiziaria: giudici complici, avvocati mezzani, consulenze assegnate da tribunali ma rivelatesi fraudolente. A Palermo, ad esempio, con Silvana Saguto, era un oliato sistema. “Sarò controcorrente: mi preoccupa il giudice corrotto ma mi spaventa ancora di più il giudice non imparziale. E’ quello il fenomeno più diffuso”.

  


“Il processo”, “Casa desolata”, “Alice”: romanzi che testimoniano come di fronte al processo ci sia quasi una cupa forza attrattiva


    

Per interrompere “la deposizione”, e prendere fiato, Cavallone prende il suo libro e lo apre a pagina 45. Legge un passo dell’Otello, quello dove Desdemona promette a Cassio di accettare “il mandato”: “Se assumo un impegno in amicizia, lo manterrò / Fino all’ultimo articolo. Il mio signore non riposerà più / Lo ammansirò, gli parlerò fino a fargli perdere la pazienza / Il suo letto sarà una scuola, la sua tavola un confessionale. Mi intrometterò in qualunque cosa egli faccia / pertanto stai allegro, Cassio / Perché il tuo avvocato morirà piuttosto che abbandonare la tua causa”. L’avvocato riflette dunque sulle donne e la giustizia, ma con prudenza per non rischiare di finire giustiziato senza regolare processo e le attenuanti della buonafede. “Le donne in magistratura sono state una conquista recentissima. Oggi la magistratura è in gran parte femminile. Sono dotate di maggior rigidità morale e integrità, ma spesso queste loro qualità si traducono in scarsa flessibilità umana in vicende giudiziarie che invece la richiedono. A un magistrato servono doti umane. Ne sono convinto”.

     

Forse anche dei buoni libri di letteratura. “Certamente. Oggi il reclutamento dei magistrati si svolge in cantina”. Vuole dire che il diritto si è fatto alcolico? “Con cantina intendo dire che chi vuole scegliere la magistratura non ha che chiudersi per un paio di anni in cantina, imparare a memoria trattati e codici per poi riemergere e sostenere il concorso. Protetti da san Gennaro si può così vincere un concorso. Ma non basta. Occorrono sensibilità extra giuridiche, serve respirare la cultura e quindi anche la letteratura del tempo. Oggi si è tutti avvocati specialisti. Non va bene. Cicerone ne sapeva pochissimo di diritto ma è stato il più grande legale di ogni tempo. Gli bastava rileggere i documenti. Questo per dire che è necessario possedere i principi giuridici ma che non bisogna limitarsi solo a quelli”.

  

Da studente, Cavallone, era bravo ma non bravissimo. Era curioso. “Mi rifugiavo spesso presso la facoltà di Lettere. Ho anche sostenuto esami di storia dell’arte. Sono un appassionato di arte fiamminga”. Lo si capisce dalle immagini che personalmente ha scelto per il volume Avvocato, non parla: che cos’ha? che ha come foto di copertina una immagine di Sant’Ivo che, sempre grazie a Cavallone, scopriamo essere il protettore degli avvocati. E noi? Chi ci protegge dagli avvocati? “Io ho trovato conforto nei classici della letteratura. Il Processo, Alice nel paese delle meraviglie, Casa desolata… sono tutti romanzi che parlano del processo come malattia”. Cavallone spiega che Alice, di fronte al processo assurdo del Fante di cuori, getta le carte in aria mandandolo in aria e che invece Josef K. non muore di processo ma se ne ammala. “Sono romanzi che testimoniano come di fronte al processo ci sia quasi una cupa forza attrattiva. K. potrebbe benissimo evitarlo. Basterebbe che se ne disinteressasse e invece se lo cerca, se lo costruisce. Anche Miss Flite frequenta ogni giorno la Corte con dei documenti nella sua borsa in attesa che il tribunale emetta un giudizio. La verità è che sono personaggi senza autostima, privi di forza morale. Cercano nel processo la riabilitazione o la distruzione, in ogni caso attendono un verdetto che risolva la loro inquietudine”.

   


“Se si mettono insieme gli albi degli avvocati del foro di Milano e di Roma, si ottiene l’intero numero di avvocati di Francia”


 

L’inquietudine di Cavallone si è invece tutta risolta in numero di codice di avviamento postale: il 20122. “Il pellegrinaggio della mia vita si è interamente svolto intorno a pochi metri. Sono nato in via Bianca di Savoia, ho frequentato l’università Statale, ho aperto il mio primo studio in via Durini, oggi è in via Bianca Maria e abito a pochi metri da qui. Sono stato poco zingaro. Mi sono sempre definito un comunista conservatore”. Insieme al fratello, Franco, ha partecipato anche alla nascita della rivista Linus, ha tradotto delle strisce del fumetto Pogo disegnato da Walt Kelly. “Si trattava di un opossum dai pensieri scettici quanto paradossali sull’America”. Il suo creatore pensò di candidarlo alle elezioni del 1953. “A pensarci era anche questa una forma di antipolitica”. In politica, l’avvocato è stato socialista, un po’ comunista. “Ma un po’”. Oggi in Parlamento si discute di legittima difesa e l’arma libera è la bandiera di Matteo Salvini. “In realtà nessuno ha finora fatto notare che non cambierà nulla. Rimarrà sempre l’obbligo penale da parte del magistrato a cui toccherà valutare la proporzione tra difesa e offesa. Insomma, non sarà il parroco a giudicare ma sempre il giudice”.

   

Cavallone non guarda i talk-show, (“Ricreano i processi ma finiscono per annoiarmi”). E’ naturalmente a conoscenza della volontà del governo di cambiare l’istituto della prescrizione e la sua convinzione è che sia solo un cattivo modo per non discutere di un problema autentico. “Ultimamente ho scoperto, grazie a un cliente che difendevo in medio oriente, che l’islam non prevede la prescrizione. Il Corano recita che non si avrà pace fino a quando non si estingue il debito verso il fratello. In parte c’è del vero. La prescrizione risulta essere un cerotto che non cura il problema. L’imputato continuerà a portarsi dentro il bisogno di ricevere il giudizio. Questo per dire che la prescrizione non lo sostituisce”.

  


    “Siamo un popolo litigiosissimo che non sa perdere… Mi preoccupa il giudice corrotto ma mi spaventa di più il giudice non imparziale”


   

Nel Gargantua e Pantagruel di Rabelais, il giudice Bridoye risolveva le sue sentenze con i dadi. Avvocato, giochiamo pure noi? “Tutta la giustizia si può leggere come un gioco e come un copione teatrale. Ci sono le divise, le toghe, il travestimento. C’è un copione da rispettare. Per questa ragione non bisogna mai confondere i ruoli. Lewis Carrol sosteneva che fosse la maggiore depravazione. Un aforisma di Alfonso X dice che ‘un uomo non può tenere il posto di due’”. A proposito di ruoli. Oggi i ribelli stanno sul balcone di Palazzo Chigi e i galantuomini di stato vengono minacciati da Rocco Casalino: “O obbediscono o li cacciamo”. “Nel mio libro, parlando sempre di ruoli, cito la fiaba di Renato Simoni Il collegio la Delizia. E’ un collegio dove tutto è sottosopra. I professori non insegnano e gli alunni desiderano studiare. Prendono il potere e processano i professori”. Nella fiaba, si legge nel testo di Cavallone, gli alunni diventano feroci e iniziano il gran processo. “E però, improvvisamente arriva il Buonsenso che deplora “l’orgoglio di essere giudici ai maestri”. Hanno sbagliato entrambi. Nella fiaba il buonsenso invita a chiedersi scusa reciprocamente”.

   

Si è arrivati alla fine. L’ avvocato mostra la sua borsa. “Eccola, l’ho comprata a Vienna ed è una copia perfetta di quella posseduta da Thomas Mann”. Anche lei vorrebbe preferirebbe il solaio ai faldoni come l’avvocato di Gozzano? “Oh signorina! Penso ai casi miei / a piccole miserie, alla città / Sarebbe dolce restare qui, con lei / Qui nel solaio? Per l’eternità / Accetterebbe? / Accetterei”. “Eh no, io nel solaio ci starei ma solo per mettermi a frugare e cercare qualche buon libro che, magari, parli di lontanissimi processi…”.

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