La differenza tra vendetta e giustizia
Battisti, Salvini e gli sciacalli che sostituiscono il rancore alla ragione
Il 14 gennaio del 2019 non verrà ricordato solo come il giorno dell’arrivo in Italia di un ex terrorista sfuggito per troppi anni alla nostra giustizia, ma verrà ricordato anche come il giorno in cui il tentativo osceno di trasformare l’arresto di un criminale nella scena di uno sciacallaggio elettorale ha contribuito a dirci qualcosa di importante più sugli avvoltoi di governo che sul criminale catturato. La decisione di Matteo Salvini, ministro dell’Interno, e di Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, di consentire la diretta streaming dalle pagine Facebook del Capitano dell’arrivo di Cesare Battisti all’aeroporto di Ciampino non è solo una scelta di carattere mediatico ma è una scelta che in una certa misura svela l’essenza precisa di un tratto identitario importante presente nel codice genetico di entrambi gli azionisti di governo: la propensione naturale a sostituire la vendetta con la giustizia.
Il ragionamento vale quando ci troviamo di fronte a un ministro dell’Interno che non si limita a complimentarsi con le forze dell’ordine per aver riportato in Italia un ex terrorista che sconterà il resto dei suoi anni in carcere, ma che per attirare il numero più alto di cuoricini possibile arriva a dire come se fosse al bar di augurarsi che l’arrestato “marcisca” in galera. Ma la logica dello scalpo, dello sfregio, della gogna vale quando in realtà ci si occupa anche di tutto il resto. Vale quando si parla di corruzione e quando ci si concentra più su come aumentare le pene che su come prevenire i reati. Vale quando si parla di costi della politica e quando piuttosto che occuparsi dell’efficienza della macchina dello stato ci si occupa solo di intervenire su qualche auto blu, solo di sfregiare i pensionati d’oro, solo di sfigurare i politici con i vitalizi. Vale quando di fronte a un caso di cronaca che cattura l’attenzione degli elettori piuttosto che trovare soluzioni per risolvere il problema si cerca un modo per mettere a disposizione del televoto un capro espiatorio. Vale quando si parla di immigrazione e quando l’uomo nero che arriva dal mare diventa un pedone da demonizzare sulla scacchiera della vendetta sociale. Vale quando si parla di tutto questo ma vale anche quando si parla di altro. Vale quando si parla per esempio di economia e quando la necessità di offrire ai cittadini più giustizia sociale si trasforma in un dovere di offrire ai cittadini una forma di giustizialismo sociale. Vale anche quando si parla di riforme e vale quando la politica di un governo viene tarata unicamente non per migliorare un paese ma per vendicarsi nel modo più veloce possibile di chi ha governato prima. E se ci si riflette un istante è la V di vendetta, che è anche non a caso la V del moVimento cinque stelle, che da sette mesi a questa parte guida in modo chiaro l’azione del governo: vendetta contro la legge Fornero, vendetta contro il Jobs Act, vendetta contro l’Europa, vendetta contro Macron, vendetta contro il liberismo, vendetta contro i nemici, vendetta contro i tecnici non allineati, vendetta contro le istituzioni in dissenso, vendetta contro i giornali antagonisti, vendetta contro gli imprenditori ribelli, vendetta contro le voci critiche.
La diretta streaming di Salvini e Bonafede non è stata dunque un’occasione utile per ricordare chi è davvero Cesare Battisti, e per fortuna in Italia una sinistra solidale con i Cesare Battisti è stata spazzata via dalla storia, ma è stata un’occasione per ricordare che la politica degli sciacalli, sostituendo il rancore alla ragione, tende a occuparsi più dei bersagli che delle soluzioni e tende con forza a dimostrare anche in diretta streaming che la V del malumore non fa rima solo con vendetta ma spesso fa rima anche con vergogna.