Ma quale inciucio, “Fino a prova contraria” vuole solo discutere di giustizia
Funziona così in tutto il mondo occidentale, si chiama “terzo settore”. Ma i “segugi della notizia” vedono sporco ovunque
Roma. Parafrasando il titolo della celebre pellicola di Dino Risi, “Vedo nudo”, si potrebbe dire “Vedo sporco”. Sì, c’è chi vede sporco ovunque. Dalle parti del Fatto quotidiano fanno scoperte clamorose, i “segugi della notizia” scoprono che, sentite bene, Matteo Salvini e Matteo Renzi sono a un passo dal siglare il nuovo Patto del Nazareno, insomma un “inciucio” a regola d’arte all’alba della Terza Repubblica (wow), nel corso di un evento con 250 ospiti, ampiamente annunciato da settimane su siti web e social network, in favore di telecamere e riflettori. Quando si dice, la trasparenza. Gli stessi intrepidi cronisti scoprono che gli eventi comportano qualche costo: la sede, il servizio di catering, i supporti logistici non giungono in dono sulla slitta di Babbo Natale, e così le associazioni come “Fino a prova contraria”, che da due anni porta avanti una battaglia per la giustizia giusta ed efficiente promuovendo tavoli di confronto, approfondimenti scientifici e incontri tematici, si autofinanziano attraverso l’obolo di chi condivide la causa.
Funziona così in tutto il mondo civile occidentale, si chiama “terzo settore”. We make a living by what we get but we make a life by what we give, secondo la celebre frase attribuita a Winston Churchill. C’è qualcuno che si concede ancora il privilegio di credere in qualcosa. Così, per il secondo anno di fila, “Fino a prova contraria” organizza una serata benefica, slogan “Più giustizia più crescita #inNomedelPil”; inviti pubblici, iscrizioni via web, immediate le adesioni di una nutrita schiera di magistrati, avvocati, imprenditori, manager e politici. E qui veniamo al tasto dolente, la politica. Perché dalle parti del Fatto quotidiano la cultura del sospetto, “anticamera del khomeinismo” (copyright Giovanni Falcone), va a braccetto con l’iperpoliticizzazione che tende a filtrare ogni accadimento umano attraverso lenti segnatamente partitiche. Tra i partecipanti all’evento, si annoverano ben cinque parlamentari (su 250 ospiti), eppure il quotidiano la Repubblica, seguito dall’house organ grillino, il Fatto quotidiano, emette il suo verdetto: la Chirico “apparecchia” l’inciucio tra Salvini e il Giglio magico. Ohibò, quanto onore. Francamente quella ventilata dai colleghi è un’opzione che non avevo considerato, anche perché, se avessi perseguito tale intenzione, avrei individuato con ogni probabilità una sede più appartata, un filo più discreta. Non sono così ingenua, in fondo.
Un dialogo laico e programmatico
La verità è che a forza di inseguire i retroscena perdiamo di vista la scena, che talvolta coincide banalmente con quel che è. Grazie a un lavoro costante, “Fino a prova contraria” è riuscita a costruire con i togati un dialogo laico e pragmatico. Fuori dalle contrapposizioni ideologiche e dalle schermaglie partitiche che in epoca berlusconiana hanno fatto la fortuna di qualche giornalista, e sono diventate l’alibi perfetto perché nulla cambiasse.
L’altra sera, dopo gli interventi dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino, dell’ex procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio e degli altri insigni magistrati che ci hanno onorato della loro presenza, abbiamo annunciato la nascita di un gruppo di studio che nelle prossime settimane elaborerà alcune proposte per dare al processo tempi certi e ragionevoli. Vogliamo conoscere, del processo, la data d’inizio e di conclusione. Basta con i processi che cominciano e ricominciano in seguito al trasferimento di un singolo giudice. Basta con le lungaggini legate alle notifiche cartacee in pieno boom tecnologico.
Come ripete il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, non serve annunciare la rivoluzione: sarebbero sufficienti alcuni correttivi normativi e organizzativi per accelerare i tempi, variabile cruciale per chiunque intenda investire in Italia. Il fatto è che certi gruppi editoriali sono ossessionati dalla iperpoliticizzazione, vedono ovunque trame partitiche, come se non si muovesse foglia se non dietro input di questo o quel leader. La vita funziona diversamente: le relazioni umane e sociali seguono mille vie che la politica non conosce. Le polemiche sulle donazioni e sulla contestuale presenza, nella medesima sala, di Matteo Salvini e di Maria Elena Boschi sono lo specchio di un paese irretito in una visione cupa e angusta del futuro.
Ma davvero due avversari non possono presenziare a un evento di cui condividono la causa? Ma davvero l’opposizione politica va intesa sempre e comunque come guerra guerreggiata tra nemici irriducibili? A quando l’età della maturità? Civiltà e cortesia umana impongono regole che la furia ideologica non comprende. E dalle parti dei Cinque stelle il pregiudizio primeggia, come dimostra l’avversione assoluta verso qualunque opera modernizzatrice, che sia un gasdotto, un treno veloce, un’autostrada. La loro è la cultura del No. Sono disposti a incensare esclusivamente i magistrati ospiti fissi nei talk-show, quelli che si eccitano al tintinnar di manette, come conferma la scellerata iniziativa mediatica del Guardasigilli Alfonso Bonafede, uno spettacolo autocelebrativo e cinico che ha fatto uscire da gigante proprio lui, Cesare Battisti, il pluriergastolano che deve scontare la sua pena, ma senza inutili eccessi inquisitori. “Fino a prova contraria” va avanti nella sua battaglia, da parte mia intendo esprimere, una volta di più, piena solidarietà verso i magistrati e i sostenitori che da oltre quarantott’ore sono inondati da sms e Whatsapp insinuanti e molesti. I “segugi della notizia”, si sa, vedono sporco ovunque.