Che cosa non torna nell'arresto dei due genitori più famosi d'Italia
Se ci fosse stato il rischio concreto che Tiziano Renzi e Laura Bovoli manomettessero le prove a loro vantaggio o reiterassero il reato, sarebbe forse stato il caso di intervenire prima
Roma. Perché infliggere l’umiliazione dell’arresto? E’ l’interrogativo su cui si interroga Matteo Renzi, rispetto alla vicenda giudiziaria legata ai suoi genitori finiti due giorni fa ai domiciliari. E lo fa nelle stesse ore in cui il suo smartphone è inondato dai messaggi di solidarietà, anche dagli avversari che non ti aspetti, leghisti e grillini inclusi. Nessuno crede ai complotti ma alle singolari coincidenze, queste sì. Tiziano Renzi e Laura Bovoli sono i genitori più famosi d’Italia, una coppia di quasi settantenni che, dal giorno successivo alla discesa in campo del figlio, dopo un’esistenza tranquilla da incensurati doc, finisce nel mirino di pm e giornalisti per vicende legate alla gestione delle aziende familiari. Prima a Genova, per bancarotta, poi a Roma, nell’ambito del caso Consip, Renzi senior viene travolto dal chiasso mediatico-giudiziario, infine archiviato.
Adesso arriva il colpo di teatro: addirittura l’arresto, il campanello che suona nella serata di lunedì. Il signore e la signora Renzi sono ufficialmente prigionieri nella propria abitazione. Nelle novantasei pagine dell’ordinanza il gip Angela Fantechi ordina gli arresti domiciliari per i reati di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni. L’accusa è di aver svuotato le casse di tre cooperative – Delivery, Marmodiv e Europe service – provocandone il fallimento. Secondo il pm Luca Turco (già grande accusatore dei fratelli Lucia e Giovanni Aleotti, proprietari della Menarini, entrambi assolti in appello), Renzi senior e moglie avrebbero costituito alcune società al solo scopo di mettere a disposizione di quella principale, la “Eventi 6”, manodopera senza essere gravati di oneri previdenziali ed erariali. Un escamotage per aggirare gli obblighi di legge. La richiesta avanzata dalla procura fiorentina (che ha acquisito gli atti dai pm di Cuneo) risale allo scorso 26 ottobre, sono trascorsi dunque quasi quattro mesi prima che il gip la autorizzasse. Inquinamento probatorio e reiterazione del reato sono le esigenze cautelari riscontrate dal gip. Eppure, se l’indagato rischia di manomettere le prove a suo vantaggio o di reiterare il reato, sarebbe forse il caso di intervenire più celermente. Perché attendere un lasso di tempo così lungo? E se l’atto d’accusa verte su reati tributari e fallimentari, perché i magistrati non hanno optato per una misura interdittiva?
Al posto dell’arresto, avrebbero potuto interdire i due dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale, metterli sotto controllo com’è avvenuto, almeno per Renzi senior, quasi ininterrottamente, negli ultimi tre anni. L’avvocato Federico Bagattini, che assiste entrambi i coniugi, studia le carte nell’attesa dell’interrogatorio di garanzia previsto per gli inizi della prossima settimana, si attenderà poi la pronuncia del tribunale del Riesame circa la congruità della misura cautelare. Al Foglio, Bagattini esprime “amarezza per un arresto che è stato una doccia fredda, nessuno di noi poteva immaginarselo”. La difesa intende contestare ogni accusa: Tiziano Renzi e Laura Bovoli non sono mai stati gli “amministratori di fatto” delle aziende finite nel mirino della procura, e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire evasione d’imposta a Eventi 6, sarebbe un’ipotesi priva di fondamento. “Le prestazioni indicate sono state effettivamente svolte”, dichiara Bagattini. Vi è poi un’obiezione che chiama in causa la logica ancor prima che il diritto: secondo il gip, “attualmente è in corso di compimento, da parte di Renzi Tiziano e Bovoli Laura, la fase dell’abbandono della Marmodiv”. Ma se ciò è vero, risultano oscure le modalità in cui si sarebbe dispiegata la gestione occulta dell’azienda, e ancora più oscuri i motivi dell’arresto di due presunti innocenti. Senza processo, anzi neppure un rinvio a giudizio. Si conferma allora l’antica usanza, tutta italiana, per cui è più facile finire in galera prima di una condanna e non dopo. Non è complotto, è in-giustizia.