Paita, Boschi, Lucano. Tre storie da repubblica della gogna
Ecco perché il processo mediatico è il collante del cambiamento populista
Un’assoluzione confermata in Appello, un’archiviazione decisa dalla procura (la seconda), un annullamento di condanna deciso in Cassazione. Il tutto nel giro di poche ore. Raffaella Paita, ora deputata del Pd, esce definitivamente dalle accuse di responsabilità penali per le conseguenze dell’alluvione che colpì Genova nel 2014, quando era assessore regionale alla Protezione civile. A Pier Luigi Boschi vengono archiviate, dopo quelle relative ai prospetti informativi per le obbligazioni, anche le accuse relative alla bancarotta fraudolenta causata dalla liquidazione all’allora direttore generale di Banca Etruria Luca Bronchi. A Mimmo Lucano viene annullato con rinvio il divieto di dimora nella sua Riace e soprattutto sparisce tutta quella serie di possibili imputazioni che andavano da reati relativi agli appalti sulla raccolta dei rifiuti all’organizzazione di matrimoni combinati e quindi al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Sono tre casi diversi, certo, ma tenuti insieme ora dalla coincidenza temporale della loro triplice conclusione positiva per le persone coinvolte e ovviamente, di più nel caso di Boschi, dei loro parenti. Ma tenuti insieme anche, negli anni, perché purtroppo si tratta di anni, dalla canea giustizialista che li ha utilizzati senza risparmio sui due fronti, quello giornalistico e quello politico. Facendone tre casi esemplari a uso di una comunicazione violenta e distorcente. C’erano, in quelle vicende, i tre filoni buoni per qualunque occasione di urlo televisivo ma anche di intervento polemico in Parlamento o di allusione velenosa in un editoriale. C’era l’accusa improvvisata ma senza appello perché solo mediatica che colpiva, come si direbbe per un antibiotico, ad ampio spettro: il centrosinistra in generale, il renzismo, la sinistra solidale e favorevole all’accoglienza.
Con storie, si diceva, perversamente esemplari da sbattere in pagina a volontà: l’incapacità e le connivenze nell’amministrazione locale, la distruzione del risparmio, le complicità bancarie e quindi il potere, il business della bontà. Tutta quella robaccia che abbiamo sentito e sentito urlare o insinuare e che è entrata come un fatto, come qualcosa di realmente accaduto, come un punto di partenza, una base, da cui discutere, nel nostro dibattito pubblico. Ha cambiato stagioni politiche, ha rimescolato le aspettative dei cittadini, ha imposto un’agenda che ora sta impazzendo nelle stesse mani di chi l’ha creata (il giustizialismo è una bestia che mangia anche chi la scatena). Dimostrando come si può essere giustizialisti e spietati da parte grillina, specializzandosi, Travaglio aiutando, contro la famiglia Boschi. E da parte leghista, talk-show cantando, dedicandosi con accanimento al mite (ma per fortuna anche tostissimo) Mimmo Lucano, sul quale rovesciare violenza verbale, disprezzo, irrisione. Coadiuvati in questo dalla esorbitante Giorgia Meloni, che deve mettere un di più rispetto al già truce Matteo Salvini per farsi notare, e si fa ricordare per l’invito sarcastico a Roberto Saviano perché portasse le arance all’arrestato dopo averlo difeso in pubblico. Populismi, insomma, che convergono, anche, per via giudiziaria. Eravamo quattro amici davanti alla gogna che volevano cambiare l’Italia. Molto più simili di quanto si dica, resi uguali, anzi, dalla prova di tre vicende giudiziarie in cui bisognava far vedere chi si era veramente. Come sempre mostrando la natura di chi giudica di più o alla pari di quanto si mostri quella di chi è giudicato.