Il decreto sicurezza fa acqua anche a Bologna
Il tribunale di Bologna ha accolto il ricorso di due richiedenti asilo a cui il Comune aveva negato l’iscrizione anagrafica. Salvini: “Se qualche giudice vuole cambiare le leggi per aiutare gli immigrati, si candidi con la sinistra”
Il tribunale di Bologna ha accolto il ricorso di due richiedenti asilo a cui il Comune aveva negato l’iscrizione anagrafica in base al decreto sicurezza fortemente voluto dal ministro dell'Interno Matteo Salvini (n. 113/2018). Poiché, contrariamente a quanto sostenuto da Salvini e dalla Lega, il decreto entrato in vigore lo scorso ottobre non impedisce ai richiedenti asilo di chiedere l’iscrizione all’anagrafe del Comune: questa è la conclusione a cui era giunto alcuni giorni fa il tribunale di Firenze e ora anche il tribunale di Bologna, scatenando la dura reazione del ministro dell’Interno, che ha accusato i giudici di essere politicizzati. Il Comune aveva negato l’iscrizione anagrafica in base a una applicazione del decreto secondo cui “il permesso di soggiorno non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”.
Fin da subito la norma era finita al centro delle polemiche politiche, con diversi sindaci che ne avevano preannunciato la disapplicazione ritenendola palesemente contraria alla Costituzione, insieme a tante altre disposizioni contenute nel decreto. Il primo a muoversi era stato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che aveva auspicato una decisione della Corte costituzionale, che però al momento sembra persino non essere neanche necessaria.
La dizione “non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”, scrive nell’ordinanza la giudice del tribunale di Bologna Matilde Betti, “pone un immediato problema interpretativo” e questo perché “nel quadro normativo non si riscontrano situazioni di fatto o titolarità di documenti che costituiscano titolo per l’iscrizione anagrafica nei registri della popolazione residente”. In altre parole, già prima dell’entrata in vigore del decreto legge Salvini, chi era in possesso di un permesso di soggiorno non aveva diritto all’immediata iscrizione anagrafica, che invece, come previsto dal Regolamento anagrafico della popolazione residente (Dpr 223/1989), avviene in base alle dichiarazioni degli interessati, agli accertamenti disposti dall’ufficio e alle comunicazioni dello stato civile. Nel “quadro normativo vigente”, spiega la giudice, il permesso di soggiorno (per richiesta asilo o altro) non è mai stato “titolo” per l’iscrizione anagrafica.
La norma quindi, così come modificata dalla legge Salvini, appare poco chiara e di difficile comprensione, ma per il tribunale non è necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale di fronte alla Consulta, perché la lettura della norma all’interno del quadro costituzionale e del diritto europeo ne consente “una interpretazione costituzionalmente orientata”. Un’interpretazione che porta la giudice a concludere che la mancata iscrizione ai registri anagrafici “impedisce l’esercizio di diritti di rilievo costituzionale, come quello all’istruzione e al lavoro”. Di conseguenza, rimandare la decisione alla causa di merito comporterebbe per il richiedente “un pregiudizio irreparabile”. Da qui la decisione del tribunale di ordinare al sindaco del Comune di Bologna, Virginio Merola, l’iscrizione nel registro anagrafico dei richiedenti.
Se Merola ha salutato con soddisfazione la decisione del tribunale, dichiarando che il Comune la applicherà senza opporsi, il ministro Salvini ha attaccato le toghe: “Sentenza vergognosa, se qualche giudice vuole fare politica e cambiare le leggi per aiutare gli immigrati, lasci il tribunale e si candidi con la sinistra. Ovviamente faremo ricorso contro questa sentenza, intanto invito tutti i sindaci a rispettare (come ovvio) la legge”. Il problema però, più che la presunta disapplicazione della legge da parte dei giudici, sembra essere proprio il contenuto delle norme, considerato talmente confuso da richiederne necessariamente un’interpretazione fondata sulla Costituzione, che impedisce quanto proposto da Salvini.