Ciascuno ha le sue toghe preferite
Repubblica, la sinistra e Salvini. L’importante è che i pm ingabbino soltanto i nemici e mai gli amici
Negli anni di Tangentopoli qualcuno sosteneva che i giudici fossero tutti di sinistra. Oggi molti dicono che ci sono quelli di sinistra e quelli di destra. Un passo avanti e due indietro, come diceva Lenin. E infatti nella povera politica italiana, lo spettacolo pubblico più ubriaco del mondo, sembra quasi che ciascuno trovi il magistrato e l’inchiesta per la quale tifare. Ciò che conta è che risulti aggredito il nemico, perché la questione in realtà non riguarda mai i provvedimenti giudiziari – la cui fondatezza non importa a nessuno – ma il circo mediatico e l’opportunità politica che trasformano la giurisdizione in arma di combattimento ad personam, fino a determinare le ondate forcaiole e i falsi garantismi cui assistiamo in questi giorni di oscena campagna elettorale per le europee. Un balletto cui i populisti al governo e la sinistra all’opposizione si abbandonano spensieratamente con l’accompagnamento scalmanato dei loro giornali da stadio, che usano la giustizia come la palla del calcio.
La maggioranza e l’opposizione, i sovranisti e i resistenzialisti, i razzistoidi e solidaristoidi, la Repubblica e la Verità, avversari eppure alleati in un medesimo codice: curva sud e rutto libero. Vi ricordate la sinistra che avvertiva nelle inchieste su Mimmo Lucano l’inquietante brontolio del razzismo di governo? Vi ricordate quando si sottolineava l’intreccio tra l’azione dei magistrati e quella di Matteo Salvini e in pratica si denunciava niente meno che il complotto fascio-razzista con Roberto Saviano, Gad Lerner e Francesco Merlo? Ecco che quella stessa sinistra di giornale e di partito adesso festeggia invece le inchieste che coinvolgono la Lega in Lombardia: “Legnate a Legnano”. Ma se a proposito del caso Lucano la magistratura respirava “l’aria che tira”, cioè l’aria del Truce strapotente, insomma il “fascismo 2.0”, ora che gli inquisiti sono leghisti che aria respirano i magistrati, secondo Repubblica? Chissà.
Si vede che l’aria cambia a seconda di chi viene inquisito. Ciascuno trova il magistrato da tifare, si diceva. Ma, attenzione, questo vale anche per la sconcezza sovranista, per Matteo Salvini, il ministro dell’Interno che da due giorni grida al complotto. Ieri ha parlato di “poteri forti”, evocando la trama politica come inquietante rovescio del ricamo giudiziario (“sapevo che combattere il business dell’immigrazione clandestina mi avrebbe portato qualche nemico potente”). Quello stesso Salvini che Lucano lo voleva appeso per i piedi, e dunque tifava per le manette e i pm. Quello stesso Salvini che quando s’imbatte in un possibile reato commesso da un migrante agita l’esemplarità della pena “senza passare dal via” (ma se è il sindaco leghista di Legnano bisogna andarci cauti). Quello stesso ministro che per mesi ha spronato le inchieste della procura di Catania sulle ong e che ieri invece ai magistrati catanesi che devono giudicare sulla Diciotti diceva “volete fermarmi usando soldi pubblici, ora basta”.
Ne viene fuori un intreccio intrigante e rivelatore proprio perché le motivazioni di ciascuno sono a fasi alternate: oggi garantista ieri giustizialista, oggi per il complotto e domani per la fiducia ai magistrati. Motivazioni militanti e interessate. Se la magistratura influenza la politica ne risente il principio della separazione dei poteri, ma la stessa cosa succede se la politica influenza la magistratura e se i giornali fanno la grancassa furbetta di questo cortocircuito. Quello che si sviluppa non è infatti una smania collettiva da filosofi, tutti Voltaire e Montesquieu, pronti alla conversazione intorno ai grandi temi della giustizia e dell’equilibrio dei poteri, della civiltà del diritto, ma gli sbuffi partigiani, la bile del fanatismo, la voglia di giustizia- re sul posto il proprio nemico. Col risultato d’aver ridotto la faticosa disciplina del garantismo – che va applicato contro le proprie convinzioni e persino contro i propri gusti – a un volgare doppiopesismo. Per qualche voto e forse per qualche copia in più.