Vietti (ex Csm) ci spiega cosa c'è in ballo a Roma nella guerra tra pm
"Si è innescato il circo mediatico-giudiziario che di solito investe i politici. L’immagine della magistratura ne esce a pezzi"
Roma. Se gli dei non sono caduti, è caduta la vergogna. La presunta purezza togata non esiste, e il mosaico restituito dall’attualità di dossier incrociati, esposti in procura, veleni mediatici, emana un putrido odore. Le vicende sono note: all’inchiesta perugina per corruzione a carico del pm romano Luca Palamara fa da contraltare, per così dire, l’esposto del collega Stefano Fava, teso a gettare discredito sull’ex numero uno di piazzale Clodio Giuseppe Pignatone e sul procuratore aggiunto Paolo Ielo. “L’immagine della magistratura ne esce a pezzi – dice l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti – Sarebbe azzardato esprimere un giudizio compiuto sul caso. Sebbene esso sia slegato dalla partita delle nomine a Roma, è innegabile una singolare sincronia che può dare adito a qualche interpretazione maliziosa”.
Sembra di assistere a una guerra per bande. “Qualcuno se ne meraviglia? Si è innescato il circo mediatico-giudiziario che di solito investe i politici, e senza un’adeguata censura da parte della magistratura”. L’esplosione mediatica di una vicenda nota dallo scorso autunno mira a interferire con la nomina del futuro procuratore capo di Roma? “Non saprei, noto però che da sei mesi la procura di Torino, a séguito del pensionamento di Armando Spataro, è senza capo, ma l’attenzione di tutti sembra appuntarsi solo sulla capitale. Mi domando perché non si segua un criterio di progressività nella copertura degli uffici vacanti”. Il cittadino resta spiazzato di fronte alle toghe che accusano le toghe, meglio di Game of Thrones. “A forza di delegittimare le istituzioni, il rischio è che non resti più nulla. L’ex guardasigilli Andrea Orlando istituì due commissioni per la riforma dell’ordinamento e del Csm, guidate da me e da Luigi Scotti. Per carità, non si devono seguire per forza le nostre indicazioni ma si faccia qualcosa, si tragga qualche insegnamento per mettere mano a una profonda riforma del sistema. Non si può andare avanti come se nulla fosse”.
Tra gli indagati c’è un consigliere togato del Csm. Palazzo de’ marescialli dovrà farsi sentire, correnti permettendo. “Con la riforma Castelli del 2001, intendevamo ridurre il peso correntizio modificando le regole elettorali. Oggi possiamo dire che abbiamo fallito”. Se un tempo erano luoghi di elaborazione culturale, oggi le correnti sembrano meri centri di potere. “Il potere non è una cattiva parola, e la designazione di un incarico direttivo è una scelta anche politica che non può essere ingabbiata in un reticolato di articoli, facile preda di ricorsi amministrativi. Se una competizione si svolge all’interno di un collegio nazionale, è naturale che sorgano delle aggregazioni attorno a una comunanza di idee. Se però ci si mette insieme solo per questioni di bassa cucina, se tutto si riduce a una logica di spartizione, è la fine dell'istituzione. Che deve venire prima dell’appartenenza”.
Come se ne esce? “La durata quadriennale dell’incarico andrebbe prolungata perché i consiglieri eletti si passano il testimone con i colleghi di corrente in un clima di permanente campagna elettorale ma quelli laici impiegano un anno per prendere dimestichezza con gli ingranaggi della macchina. Sarebbe poi auspicabile che i consiglieri non decadessero simultaneamente ma con scadenze differenziate. Un componente laico arriva al Csm e non conosce nessuno, si guarda attorno spaesato e rischia di dipendere eccessivamente dai colleghi togati”. Non vorrà farci credere che sia una questione solo organizzativa? “I magistrati preferiscono parlare di autogoverno, ma il Csm è l’organo costituzionale di governo dell’ordine giudiziario cui va assicurata l’autonomia dalla politica e dalla stessa magistratura”.