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La vita in carcere raccontata da Formigoni

Ermes Antonucci

“Condannato senza prove, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello”. Con una lettera a Tempi, parla l'ex governatore 

“Hanno potuto condannarmi ma non hanno potuto decidere del mio modo di reagire e di vivere, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello”. Con una lettera al mensile Tempi, l’ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, racconta per la prima volta la sua vita da detenuto nel carcere milanese di Bollate, dove è rinchiuso da tre mesi dopo la condanna definitiva per corruzione.

    

La lettera inizia proprio con un riferimento alla sentenza di condanna (ritenuta ingiusta) e, soprattutto, alle norme (varate dal nuovo governo gialloverde) che successivamente hanno consentito l’incarcerazione dell’ex governatore grazie a una loro applicazione retroattiva: “La mia condanna è stata pubblicamente definita dal prof. Franco Coppi, il più grande penalista italiano, 'una condanna senza colpa e senza prove', per di più aggravata dalla cosiddetta legge 'spazzacorrotti' di Cinquestelle e Lega, entrata in vigore il 31/1/19 e applicata retroattivamente (!) nei miei confronti per presunti reati eventualmente compiuti nel 2011. Una legge che diversi tribunali si sono rifiutati di applicare, e nei confronti della quale il tribunale di Venezia per primo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale perché ne dichiari la incostituzionalità”.  

    

Diversi giudici, infatti, da nord a sud (Venezia, Lecce, Napoli) hanno deciso di sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla riforma anticorruzione varata dal governo M5S-Lega (la cosiddetta “spazzacorrotti”), laddove inserisce i reati contro la Pubblica amministrazione nell’articolo 4-bis dell’Ordinamento penitenziario, quindi tra i reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, non prevedendo alcuna regolamentazione della fase transitoria, e quindi permettendo l’applicazione di questa nuova norma anche ai procedimenti riguardanti reati commessi prima della sua entrata in vigore (come avvenuto nel caso di Formigoni).

   

Ma la lettera di Formigoni, oltre che un grido di ingiustizia, è soprattutto un invito a conoscere la quotidianità della vita carceraria, nel suo caso fatta di "incontri, dialoghi e riflessioni", e segnata dallo studio di "testi classici e contemporanei, politica, economia, teologia". “Tutto ciò – scrive Formigoni – ha destato qui una certa sorpresa, perché ci si aspetta che il detenuto, specie nei primi tempi, sia almeno un po’ provato, un po’ depresso, se non addirittura che mediti ‘intenti cattivi’, tant’è che per un certo periodo devi incontrare quotidianamente lo psicologo o lo psichiatra. E uno di questi un certo giorno mi ha fatto chiamare per domandarmi: 'Ma lei si rende conto di dove è, di cosa le è successo, di come dovrà vivere?'. In realtà voleva chiedermi: 'Ma lei è pazzo? Come fa a vivere così?'. Eppure anche qui si può vivere così. E si può vivere così anche in rapporto agli altri detenuti e agli agenti di polizia penitenziaria. Ciascuno è una persona, ovviamente coi suoi problemi, a volte grandi o grandissimi, con una prospettiva di futuro pesante o incerta, con speranze che vanno e vengono. Ma con molti si può creare uno scambio, un riconoscimento, qualche forma di solidarietà”.

  

Ma la burocrazia imperversa anche in cella, ed è su questo che prosegue il racconto di Formigoni: “Al contrario di quel che si può pensare, in carcere il tempo è poco – almeno per me –, non tanto. Devi fare tutto ciò che è legato alla sopravvivenza quotidiana, devi sottoporti a pratiche burocratiche e tempi di attesa, devi compilare la “domandina” per ogni cosa (domandina, il diminutivo non è a caso, c’è in molti particolari un’implicita regressione infantile). Se vai in biblioteca a cercare un po’ di silenzio che non sempre c’è, ti chiamano in reparto per consegnarti la posta che viene aperta in tua presenza lettera per lettera, poi ritorni in biblioteca per essere di lì a poco richiamato per ritirare una raccomandata che ti viene consegnata in un luogo diverso appena una guardia è libera per accompagnarti, mentre la consegna dei pacchi è in un altro luogo ancora con un’altra trafila. E pure le medicine (che sono quelle che prendevo a casa, non ho nuovi malanni) le devo ritirare, una pastiglia al giorno, in tre momenti diversi”.

   

“Le lettere, le mail e i messaggi che per settimane mi sono arrivati a fiumi (ben oltre 2000) oggi hanno un po’ rallentato il ritmo, ma ogni giorno ci sono nuovi arrivi. È qualcosa di straordinario, che mi emoziona e mi sorprende ogni volta”, conclude l’ex governatore.

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