“Bando all'ipocrisia sulle nomine in magistratura”. Parla Caiazza
"La nomina dei vertici di Ufficio di Procura è una scelta politica che tiene conto degli equilibri interni tra correnti della magistratura. Non è mai stata scelta di merito"
Roma. Il Caso Palamara, la discussione nel plenum straordinario del Csm (oggi), le intercettazioni, le Procure, le nomine e la “gestione” delle stesse, i rapporti magistratura-politica e la polemica ricorrente (e rinnovata) sul cosiddetto “circo mediatico giudiziario” e sulla necessità di una riforma. Intanto, ieri, dalla Giunta dell’Unione Camere Penali si è levato una sorta di appello alla ragionevolezza: “La diffusione indebita e sapiente di brandelli di notizie relative a indagini giudiziarie in vario modo collegate all’imminente nomina dei vertici di alcune importanti Procure italiane sta mandando in scena un avvilente spaccato della Magistratura italiana e dei suoi meccanismi di governo, ma anche un formidabile festival dell’ipocrisia nazionale”.
Ipocrisia che forse ora si avrà l’occasione di smascherare, dice al Foglio Gian Domenico Caiazza, che dell’Unione Camere Penali è presidente: “Al di là della rilevanza penale di questo e di quel comportamento, su cui non ci interessa pronunciarci, quello che viene al pettine ora è un qualcosa che dovrebbe essere ben noto a tutti, e cioè che la nomina dei vertici di Ufficio di Procura – e non soltanto dell’importanza di Roma – è una scelta politica che tiene conto degli equilibri interni tra correnti della magistratura e di criteri valutativi che non hanno a che fare con una valutazione strettamente professionale. Non è mai stata scelta di merito, soprattutto nelle Procure particolarmente esposte”.
Si parla infatti di “continuità” e “discontinuità” rispetto alla gestione Pignatone. E se in teoria una Procura dovrebbe essere governata dal principio di obbligatorietà dell’azione penale, “in pratica e ovviamente”, dice Caiazza, non è così, “ma questa è appunto la scoperta dell’acqua calda. E’ una scelta politica che suscita appetiti politici e che è condizionata da equilibri politici, e prevede incontri con parlamentari e con leader di partito. L’esercizio dell’azione penale è il potere decisivo in questo paese. Si vuole arginare tutto questo? Bene, bisogna ripensare profondamente gli assetti ordinamentali della magistratura”.
Intanto, dice Caiazza, “bisogna chiedersi perché queste guerre riguardino sempre e solo gli assetti degli Uffici di Procura. Si scoprirebbe che la ragione è la stessa per cui i vertici della rappresentanza politica della magistratura appartengono da decenni (con l’eccezione del presidente da poco eletto), a pubblici ministeri, pur rappresentando i pubblici ministeri meno del 20 per cento della platea dei magistrati italiani. L’obbligatorietà dell’azione penale, tanto invocata, è un feticcio dietro al quale si nasconde un’azione penale discrezionale ma non responsabile politicamente: non è valutata da nessuno, non ha sanzione, non ha controllo”. Quindi, dice Caiazza, “si vada oltre l’ipocrisia e si vada a fondo. La nostra proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario prevede la separazione delle carriere tra pm e giudici, due Csm, l’aumento della percentuale della componente laica al 50 per cento, in modo da spezzare il dominio correntizio: il problema non è la presenza politica, ma che questa presenza sia dichiarata e alla luce del sole. E proponiamo non che l’azione penale diventi facoltativa, ma che, restando obbligatoria, si eserciti nei modi e nei casi previsti dalla legge. Vorremmo cioè che fosse affidato al Parlamento il compito di dare indicazioni politiche di fondo sulle priorità, ferma restando ovviamente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Per esempio: c’è una maggioranza ambientalista? Verrà data magari priorità ai reati ambientali. Ma in modo chiaro, attraverso l’indicazione di un organo sovrano che risponde all’elettorato”. “Nessuno oggi si scandalizza”, dice Caiazza: “Questa vicenda svela il già noto. Che sia almeno occasione perché si ragioni in modo serio su un problema serio”.