Matteo Salvini (foto LaPresse)

L'imbonimento è sempre legittimo

Salvatore Merlo

Un tabaccaio uccide il rapinatore e lo indagano. Ma non c’era il Far West?

[Aggiornamento dell'11 giugno 2019 - Secondo i primi risultati dell'autopsia eseguita sul corpo di Ion Stavila, il ladro moldavo ucciso da un tabaccaio a Pavone Canavese, alle porte di Ivrea, lo scorso 7 giugno, i fatti non si sarebbero svolti come raccontato. Nessuna colluttazione, Marcellino Franco Iachi Bonvin avrebbe sparato dall'alto, probabilmente dal balcone, sui tre in fuga. Stavila sarebbe stato colpito alle spalle mentre si trovava sul marciapiede di via Torino, a pochi metri dalla tabaccheria Winner Point].

 


 

Lui, ovviamente, arruffato e trucesco, s’era quasi affacciato dal balcone per annunciare agli italiani, insomma ai suoi sessanta milioni di figli, che finalmente “la difesa è sempre legittima”. E i suoi poveri e smarriti oppositori di sinistra, che sono ovviamente il più grande regalo che il destino potesse fargli, ecco che anche loro accreditavano a tutte le ore e su tutti i canali l’idea integralmente salviniana – nel senso che l’unico ad avvantaggiarsene è proprio Salvini – di un’Italia ridotta alla giustizia fai da te, un paese composto da tanti piccoli e impunibili Charles Bronson muniti di calibro 38 pronta allo sparo gratuito. Così, tra un allarme nasale al fascismo incipiente e una mascolina esultanza alla libertà di fare fuoco a volontà come nella San Francisco dell’ispettore Callaghan, per mesi destra e sinistra hanno marciato avvinghiate sotto la grande bandiera della fotocopia. Ciascuno con i suoi ammirevoli incastri di cliché e stereotipi da campagna elettorale permanente, muscoli di cartone e antifascismo lirico, quella specie di malattia infettiva a largo raggio epidemico che un giorno sarà forse studiata nelle università di tutto il mondo per raccontare il periodo storico in cui l’Italia (dopo Babilonia) fu colta da un default intellettuale ancora prima di quello economico: “Ah la legittima difesa!”.

 

Il fatto è che ieri notte un tabaccaio, in provincia di Torino, a Ivrea, estenuato dalle troppe rapine subite negli ultimi anni, dopo una colluttazione ha sparato e ucciso uno dei ladri che erano entrati nel suo negozio. Ovviamente – proprio come accadeva prima della nuova legge – è arrivata la polizia. E ovviamente – proprio come accadeva prima della nuova legge – la procura ha anche aperto un’indagine a carico del tabaccaio sparatore.

 

I tragici fatti di Ivrea, almeno in un paese che non si fosse completamente bevuto il cervello, dovrebbero far sorgere perlomeno un barlume di sospetto intorno alla reale natura della cosiddetta legge sulla “difesa sempre legittima”. Per la verità il capolavoro giuridico trucista era già sembrato più o meno una truffa lessicale a quei (pochi) che il testo se l’erano letto davvero, come il segretario dell’Anm, Alcide Maritati, che infatti l’aveva subito riassunto all’incirca con queste parole: “E’ tutto esattamente come prima”. Ma allora com’è possibile che destra e sinistra, governo e opposizione, televisioni e giornali, ci abbiano costretto a saltare per mesi nei cerchi di fuoco, tra i tweet della Meloni e quelli della Boldrini, gli articoli della Verità e quelli di Repubblica, le sconce pulsioni aggressive e i richiami lagnosi alla civiltà del diritto? Se ne potrebbe ricavare un inquietante saggio sul linguaggio che non somiglia alle cose che nomina, oppure si potrebbe ragionare sulla resistenza della politica al rapporto con l’esperienza empirica o magari trovare i fondamenti per una scienza generale (e piuttosto urgente) sul decadimento del principio di verità. Evidentemente non siamo più dentro i confini di una forzatura delle cose e dei fatti, ma consegnati a un rito gratuito, una contesa e un pericolo che sono pura rappresentazione, puro teatro. Cosa spinga Salvini a spacciare un imbonimento legislativo degno di Totò per una legge da destra americana è abbastanza chiaro: lo anima una sorta di audacia sfrontata e tranquilla, una completa mancanza di scrupoli e la convinzione che il mondo politico sia popolato d’imbecilli pronti a dargli del fascista. Cosa invece spinga la sinistra a dargli ragione anche su quest’ultimo punto, ecco questo rimane un mistero.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.