Cosimo Ferri, ex sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni (Foto LaPresse)

L'uomo dei due mondi

Marianna Rizzini

Magistrato e politico, volto di potere e nomine, inghiottito dal circo mediatico giudiziario sul caso Csm. Storia e segreti di Cosimo Ferri

E improvvisamente è come se, nel cosiddetto “circo mediatico-giudiziario”, fosse stato illuminato il lato oscuro del versante solitamente intoccabile, e come se, dal pasticciaccio delle nomine e del Csm, la magistratura e la politica stessero giocando un gioco di specchi in cui i ruoli appaiono ribaltati e in cui non si capisce più se c’è davvero un colpevole e un innocente o se è il sistema nel suo complesso a essere arrivato a un punto di non ritorno. Riforma? Autoriforma? Nel dubbio, gli osservatori togati e non togati ripassano i nomi ricorrenti della storia, nomi che si rincorrono negli anni e rimandano a casi antichi e meno antichi di sospetta ingerenza e gestione disinvolta del proprio “peso” politico nei giochi interni alla magistratura. Il che non vuol dire che chi “pesa” di più sia un politico. Anzi. E tra i nomi ricorrenti, in questa storia, c’è quello di Cosimo Ferri, uomo a metà tra i due mondi, colui che, nelle cronache di questi giorni, compare come costante degli incontri tra i magistrati, Luca Lotti e Luca Palamara (lui, Ferri, interpellato dal Fatto in proposito, ha rivendicato la liceità dei suoi comportamenti: “Io mi occupo di giustizia, è giusto che la magistratura sia indipendente…Non abbiamo fatto niente di male. La sera uno può fare quello che vuole e incontrare chi vuole. Io sono stato il magistrato d’Italia più votato e mi hanno messo all’opposizione, posso frequentare Palamara benissimo”).

 

È infatti un magistrato, Ferri, eletto al Csm nel 2006 con 553 preferenze. Ma è anche un politico che ha ricoperto ruoli di primo piano, Ferri, ora deputato del Partito democratico: è stato infatti sottosegretario alla Giustizia nel governo Letta, con il ministro Anna Maria Cancellieri. Dopo la crisi di governo, è rimasto sottosegretario con il governo Renzi, e con Andrea Orlando ministro (ma la figura di Ferri, giunta al sottosegretariato come uomo gradito a Forza Italia, era stata allora incasellata, anche per autodefinizione, nella lista dei tecnici). Nel 2016 cambia di nuovo il governo: arriva a Palazzo Chigi Paolo Gentiloni, alcuni nomi mutano, ma Ferri viene confermato.

  

 

Ex sottosegretario (con tre governi), tra Forza Italia e Pd. Figlio del ministro “del 110 all’ora”, e uomo “associativo”

Nel frattempo la questione delle nomine in magistratura investe a più riprese il sottosegretario. Soprattutto nel 2014, quando un suo sms fa scoppiare un caso a pochi giorni dalla presentazione delle linee guida sulla riforma della giustizia. Sono momenti complicati di per sé: la tensione preventiva tra governo Renzi e magistratura sulla riforma si fa sentire, le elezioni per il Csm mettono a rischio un equilibrio delicatissimo e Ferri è a tutti gli effetti un membro del governo. Fatto sta che lo stesso Ferri invia un sms dal testo poi definito da Palazzo Chigi (Matteo Renzi) “indifendibile”: “Per le elezioni al Csm mi permetto di chiederti di valutare gli amici Pontecorvo e Forteleoni. Ti ringrazio per l’attenzione”, aveva scritto l’ex sottosegretario. Che non trova allora molti paladini disposti a ridimensionare le sue presunte colpe, anzi.

 

L’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano in qualche modo lo scarica: “Credo che il sottosegretario Ferri abbia il diritto e il dovere di fare una riflessione e di comunicarla pubblicamente. E’ una vicenda che va affrontata pubblicamente e senza ipocrisie”, anche se poi concede “troppi si scandalizzano, come se non sapessero come avvengono le elezioni”. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando non commenta subito apertamente la cosa (ma poi convocherà il sottosegretario). Il Movimento 5 stelle, tramite il senatore Mario Giarrusso, chiede che Ferri sia allontanato. L’Anm, in cui Ferri è stato membro del Comitato direttivo, dirama una nota non certo favorevole: “Il sostegno esplicito di un membro del governo volto a favorire l’elezione di alcuni dei componenti dell’organo di governo autonomo della magistratura costituisce un’evidente e grave interferenza nel delicato equilibrio tra i poteri”. Le accuse investono la corrente di Ferri, Magistratura indipendente. Che cosa succede? Alla fine nulla. Si va avanti.

 

Ma bisogna fare un passo indietro. Ferri, che è magistrato, con la politica ha una lunga consuetudine, anche familiare. I due mondi, per lui, non sono mai stati separati. È infatti figlio di Enrico Ferri, esponente del Psdi (anche segretario del Pdsi per un periodo), magistrato, ministro dei Lavori Pubblici nel governo De Mita (anche detto “il ministro dei 110 chilometri all’ora), poi esponente di Forza Italia e dell’Udeur, europarlamentare, già sindaco di Pontremoli. Ma Cosimo è anche fratello di Jacopo, che nella politica locale (Pontremoli, ma in generale in tutta la Toscana: Jacopo è stato a lungo consigliere regionale) è stato impegnato fin dai primi anni Duemila. Il nome del terzo fratello, Filippo, ex capo della squadra Mobile di Firenze, compare a un certo punto nell’inchiesta per i fatti del G8 di Genova alla caserma Diaz. In seguito alla condanna (con pena sospesa), Filippo Ferri lascia l’incarico, per poi diventare consulente per la sicurezza del Milan. Dei tre è Cosimo a seguire le orme paterne come uomo che si muove tra ambienti spesso e sempre più spesso in conflitto: la politica e la magistratura.

  

Chi ne loda la velocità, chi lo descrive come uno che supera ogni tempesta, chi dice “Ferri è soprattutto un capocorrente”

Ma serve anche un passo avanti, un salto ai nostri giorni, nei giorni cioè in cui infuria la polemica sul presunto “giro” che l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara avrebbe organizzato per avere influenza sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma. Aleggiano (sui giornali) resoconti su incontri notturni in albergo per discutere le nomine. Aleggia il nome di Luca Lotti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Prende forma il dibattito sulla scelta dei vertici della magistratura. Dalla Lega, il vicepremier Matteo Salvini dice che “per quanto riguarda i problemi interni al Csm emersi in questi giorni, è chiaro che è urgente una riforma dei criteri di nomina ed elezione del Csm e la riforma dell’ordinamento giudiziario”. Dall’altro lato del pericolante patto gialloverde, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si dichiara convinto che “tutti debbano cominciare a lavorare a una riforma del Csm, come scritto nel contratto di governo. Dobbiamo riflettere sulla possibilità di intervenire sul sistema elettorale” (c’è chi tra i Cinque Stelle pensa che i membri del Consiglio che governa direttamente la magistratura dovrebbero essere scelti per sorteggio e non eletti ogni cinque anni). Nicola Zingaretti, segretario del Pd, il partito di Ferri, dice che Ferri e Lotti non si devono dimettere, “perché non sono indagati”. Ma una sorta di nuova questione etico-politica spunta sottotraccia, e investe il centrosinistra che sui rapporti politica-magistratura, e su inchieste provenienti da procure “pesanti”, ha costruito intere campagne elettorali.

    

 

In un’intervista all’Huffington Post, Gianrico Carofiglio, ex magistrato, già senatore Pd e scrittore, invitava qualche giorno fa Zingaretti, con enfasi esasperata, “a battere un colpo su Lotti e Ferri”. E parlava di un “problema di etica politica”: “Per quello che ne so io, nelle stanze d’albergo ci si va dopo aver registrato i propri documenti – mi perdoni la deriva poliziesca – ma come sono entrati tutti insieme in quella stanza? Questa scena di magistrati e politici in una stanza d’albergo sembra presa da un film di seconda categoria. Ecco, non trascurerei questo aspetto di costume, che sconfina nel trash. Perché si va in una stanza d’albergo? Se mi invitassero a un dopo cena in una stanza d’albergo io mi porrei delle domande sul perché di un invito così bizzarro. E poi non ci andrei. Il Pd farebbe bene a battere un colpo chiaro e forte su questa vicenda e dire con molta chiarezza che iscritti e parlamentari non possono fare certe cose, non possono – per ragioni oscure, o forse troppo chiare – interferire con le nomine di un organo di rilievo costituzionale come il Csm. Se le informazioni giornalistiche fossero confermate credo sarebbe opportuno richiedere dimissioni e in mancanza, assumere provvedimenti”.

 

 

Ferri, però, visto da Ferri, come si è detto, ha dichiarato di non aver “fatto nulla di male”. E, tra i conoscenti di Ferri, c’è chi lo descrive come un “tipico magistrato associativo” che gira, va, vede gente, come avrebbe detto Nanni Moretti, ma anche che ascolta, che conosce, che è come se avesse in testa un archivio, che attraversa i temporali senza bagnarsi, che si muove “con levità” e che “è considerato uomo di parola”. Il suo è un moto che fa parte del mestiere o un moto di troppo per un magistrato-politico? L’amico Michele Vietti, già vicepresidente del Csm, dice che Ferri è “prima di tutto un capocorrente, e un uomo di straordinaria velocità e intelligenza” .

  

Il caso dell’sms ai tempi delle elezioni per il Csm del 2014, e i casi di oggi, tra l’idea di “autoriforma”, Lotti e Palamara 

Fatto sta che qualche anno fa, nel 2012, al momento dell’elezione di Ferri all’Anm, c’era chi non lo voleva al vertice dell’organismo nonostante i moltissimi voti presi. In un’intervista ad Andrea Marcenaro su Panorama, Ferri così commentava la situazione: “La moda di pretendere moralità assoluta sui doveri altrui, chiudendo un occhio sui propri, è finita con le ultime elezioni. E tenersi uniti soltanto nel non riconoscere i risultati ottenuti da Magistratura indipendente è un piccolo espediente, destinato a naufragare”. Commentava anche, Ferri, la sentenza Dell’Utri, apparendo non proprio incasellabile nel mainstream. “Vuole commentare l’aggressione al sostituto procuratore generale Francesco Iacoviello dopo la sentenza Dell’Utri?”, era la domanda.

 

E Ferri rispondeva che non gli era piaciuta”, che “manifestazioni del genere” potevano e “dovevano essere evitate”, che la sentenza “era stata emessa da un giudice indipendente” e tanto gli bastava, e che, in attesa delle motivazioni, non avrebbe voluto aggiungere parola “se non per stigmatizzare di nuovo gli attacchi frontali… Questi scontri interni offrono una brutta immagine all’esterno, favorendo la delegittimazione dell’intera magistratura”. E, a proposito di governo dell’Anm, faceva proposte da “uomo dei due mondi”: “Faccio una proposta alle altre correnti: tutti un passo indietro. Tenere un’assemblea che modifichi lo statuto per votare una giunta tecnica. Un governo tecnico, sì, lo stesso scossone che c’è voluto per la politica. Grande coalizione e volti nuovi, magistrati che non abbiano mai partecipato a competizioni elettorali, mai ricoperto incarichi associativi, mai candidati al Csm”.

  

“Questa scena di magistrati e politici in una stanza d’albergo sembra presa da un film di seconda categoria” (Gianrico Carofiglio)

Ma il gioco di specchi riporta oggi invece tutto, e tra due mondi, al groviglio politica-magistratura e al Csm, con sospetti incrociati e con una parte di Magistratura indipendente che invita la dirigenza nazionale del gruppo ad “assumere ogni opportuna iniziativa” per tutelare “l’ onorabilità di MI e di tutti i suoi appartenenti, e, in particolare, per respingere, con sdegno, ogni tentativo – in qualunque sede assunta – di stabilire una correlazione, anche indiretta, con la loggia massonica P2”. Drammatici sono i toni del vicepresidente del Csm David Ermini: “O sapremo riscattarci o saremo perduti”. Meno drammatico il “non ho fatto nulla di male” di Ferri, ex sottosegretario che si trova ora in una situazione già vissuta all’Anm e al ministero della Giustizia: con tanti consensi, ma anche con tanti nemici; in vista, ma anche da qualcuno malvisto. In azione incessante negli universi che si guardano senza incontrarsi (al ministero, Orlando e Ferri venivano descritti come esponenti di due “opposti pd”), ma sempre e comunque uomo-ponte.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.