Luca Palamara (foto LaPresse)

Non basta Palamara per spiegare i guai seri della magistratura

Claudio Cerasa

Sarebbe bello poter dire che la credibilità dei magistrati è stata aggredita solo dai traffici relativi al futuro della procura di Roma. Giudici mediatici e pm politicizzati: spunti per discutere di un problema serio, senza altre false ipocrisie

L’incredibile guerra tra bande che si è manifestata a cielo aperto tra le correnti della magistratura a colpi di pizzini sui giornali, indagini a orologeria ed esposti in procura ha rimesso al centro del dibattito pubblico un tema che periodicamente riaffiora ogni volta che si prova a ragionare su quello che oggi è uno dei principali punti di debolezza del mondo della magistratura italiana: la capacità di ciascun pm e di ciascun giudice di evitare ogni comportamento capace di compromettere l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza. La battaglia che si è scatenata nei palazzi e negli alberghi della Capitale per la successione a Giuseppe Pignatone, ex capo della procura di Roma, ha avuto l’effetto di mettere al centro della scena, con la testa spinta con forza sotto il patibolo, alcuni magistrati molto traffichini che negli ultimi giorni sono stati accusati di ogni nefandezza. Il magistrato più mascariato del momento, naturalmente, è Luca Palamara e più passano i giorni e più i suoi detrattori, all’interno della magistratura ma non solo, danno l’impressione di essere particolarmente stizziti per il caso Palamara per una ragione che potremmo sintetizzare grosso modo così: vedete, è per queste cose, a causa di questi magistrati traffichini, che la magistratura perde di credibilità. 

 

In alcuni casi, la responsabilità della perdita di credibilità della magistratura viene circoscritta alla figura di Palamara. In altri casi, la responsabilità della perdita di credibilità della magistratura viene circoscritta all’appartenenza a una corrente al posto di un’altra. Sarebbe bello e sarebbe consolatorio poter dire che se non ci fosse stato il gran bordello della lotta tra le correnti della magistratura per il dopo Pignatone non ci sarebbe stata nessuna ragione per porsi qualche domanda sul modo in cui la magistratura riesce a difendere con forza il suo profilo di indipendenza, terzietà e imparzialità.

 

Purtroppo però bisogna dire che il caos che si è scatenato all’interno del Csm sulla procura di Roma non è il problema dei problemi ma è solo la punta estrema di un problema più grande, dove le correnti incancrenite della magistratura in fondo c’entrano fino a un certo punto. I magistrati italiani fanno bene a porsi delle domande sul caso del Csm ma commetterebbero un grave errore a considerare il caos del Consiglio superiore della magistratura come il principale problema della magistratura italiana, come se fosse questo il più grande guaio con cui deve fare i conti oggi una magistratura interessata a difendere il suo profilo di indipendenza, di terzietà e di imparzialità. Spiace, ma non è così, perché un magistrato contribuisce a dare una mazzata alla credibilità della magistratura quando mostra indifferenza rispetto ad alcune patologie della magistratura persino più gravi di un traffico di influencer all’interno del Csm. Un magistrato perde di credibilità quando sovrappone codice morale e codice penale. Un magistrato perde di credibilità quando trasforma le indagini in uno strumento per difendere più un’ideologia che una legge. Un magistrato perde di credibilità quando sceglie di diventare uno strumento di una parte politica. Un magistrato perde di credibilità quando mette le sue indagini al servizio di un progetto politico. Un magistrato perde di credibilità quando considera un talk-show più importante di un’aula di un tribunale. Un magistrato perde di credibilità quando fa della ricerca di un teorema un asset più importante della ricerca di una prova. Un magistrato perde di credibilità quando usa la custodia cautelare come uno strumento utile a dare maggiore visibilità a una propria indagine. Un magistrato perde di credibilità quando accetta che un altro magistrato faccia campagna elettorale contro un politico che promuove un referendum. Un magistrato perde di credibilità quando offre ai cronisti intercettazioni penalmente irrilevanti solo per dare un maggior risalto mediatico a una propria inchiesta. Un magistrato perde di credibilità quando trasforma un’inchiesta in un trampolino per tuffarsi in politica. Un magistrato perde di credibilità quando fa di tutto per diventare un personaggio mediatico.

 

Un magistrato perde di credibilità quando sceglie di considerare negoziabili alcuni princìpi che semplicemente negoziabili non sono. E per capire quali, senza troppa retorica, è sufficiente dare uno sguardo a ciò che considera illecito lo stesso Csm, anche se poi spesso è lo stesso Csm a far finta di non conoscere i propri regolamenti. Un magistrato che indebolisce la terzietà, l’indipendenza e la neutralità della figura del magistrato è quello che (a) gioca con “la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui”; è quello che (b) si disinteressa a “una pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine a un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo”; è quello che (c) considera legittima “l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici ovvero il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l’esercizio delle funzioni o comunque compromettere l’immagine del magistrato”; è quello che (d) considera normale “rilasciare dichiarazioni ed interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura”.

 

Il magistrato, ricorda sempre il Csm, esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio, rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni e anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria. Sarebbe bello dire che il problema della magistratura, e il suo problema con la terzietà, sia solo legato al caos della procura di Roma. Purtroppo non è così. E fino a quando la magistratura non prenderà consapevolezza di ciò che indebolisce la magistratura, denunciando i problemi veri, radicati, strutturali che riguardano una piccola ma chiassosa minoranza della magistratura, non ci sarà possibilità di rafforzare e non di indebolire l’indipendenza e la neutralità della figura del magistrato. Il problema non è Palamara. E’ ora di smetterla con le ipocrisie. E’ ora di svegliarsi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.