Come ti plasmo il giudice antiabusi
Indagine sul Cismai, che insegna la sua ideologia inquisitoria perfino al Csm
Il Consiglio superiore della magistratura e la Scuola superiore della magistratura hanno promosso per anni corsi di formazione per i magistrati italiani incentrati sulle idee (non riconosciute dalla comunità scientifica) del Cismai, l’associazione al centro di decine di processi per presunti abusi su minori poi conclusi con clamorose assoluzioni e ora coinvolta nel caso di Bibbiano.
In un precedente articolo, pubblicato lo scorso 9 luglio, abbiamo sottolineato come siano stati proprio gli assistenti sociali e gli psicologi affiliati al Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia) a svolgere le perizie su cui si sono basati numerosi processi per accuse di abusi su minori poi smentite (Angela Lucanto, i “Diavoli della Basse modenese”, Rignano Flaminio), e come ora questi stessi professionisti siano al centro dell’inchiesta di Reggio Emilia sul presunto giro di affidi illeciti di minori nei comuni della Val d’Enza. Al centro dell’indagine vi è la onlus Hansel e Gretel, diretta dallo psicoterapeuta Claudio Foti, da sempre tra i principali sostenitori del Cismai e ora indagato. La stessa onlus, come abbiamo rivelato, è stata iscritta per anni al Cismai. Lo stesso Cismai, inoltre, risulta essere tra i soggetti che hanno collaborato all’organizzazione di un convegno tenutosi il 10 e 11 ottobre 2018 a Bibbiano dedicato ai primi due anni di esperienza del centro La Cura, ora al centro dell’indagine della procura di Reggio Emilia, in cui operavano gli operatori della onlus Hansel e Gretel. Al convegno intervenne con una relazione anche Gloria Soavi, presidente del Cismai. Nelle ultime settimane anche altri giornali ha ricostruito la serie di casi giudiziari controversi che hanno coinvolto gli affiliati al Cismai. Il Fatto quotidiano ha ricordato la tremenda vicenda di Sagliano Micca (Biella) del 1996, in cui un’intera famiglia, incolpata ingiustamente di abusi sessuali, si suicidò nel garage della propria abitazione. Panorama ha rintracciato casi simili di famiglie distrutte sulla base di accuse infamanti di abusi, poi smentite dai giudici, anche a Salerno, Pisa, Arezzo e Cagliari.
A prescindere dai recenti fatti di Bibbiano, su cui si esprimerà la magistratura, abbiamo fatto notare come il vero problema sia costituito dal metodo utilizzato dal Cismai, e quindi da centinaia di professionisti sparsi per il paese, per l’ascolto dei minori, che spinge a rintracciare abusi sessuali anche quando non ci sono. Una metodologia (enunciata nella “Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale” del Cismai) elaborata da una commissione interna alla stessa associazione e respinta dalla comunità scientifica, che invece si riconosce in alcuni testi ben più rigorosi e frutto di in un intenso lavoro del mondo scientifico e accademico, come la Carta di Noto e le linee guida della Consensus Conference. Tuttavia, la metodologia del Cismai (tutta incentrata sulla convinzione che l’abuso sessuale sui minori sia un “fenomeno diffuso” e “in grande prevalenza sommerso”, che gli adulti non vadano ascoltati perché “quasi sempre negano” e che l’abuso debba essere rintracciato anche in assenza di rivelazioni del minore, grazie a un approccio “empatico” da parte degli operatori) ha fatto proseliti, tanto da permettere a Foti e ai vertici del Cismai di tenere negli ultimi anni convegni e corsi di formazione per psicologi, assistenti sociali ed educatori.
Ma non è tutto. Il Foglio, infatti, è in grado di rivelare che sia Gloria Soavi, presidente del Cismai, sia Claudio Foti hanno avuto la possibilità di formare anche magistrati. La prima risulta essere stata tra i relatori di un corso di formazione di tre giorni (15-17 gennaio 2018) dedicato alla “pratica del processo minorile e civile”, organizzato a Scandicci dalla Scuola superiore della magistratura, alla quale dal 2006 è attribuita la formazione iniziale e permanente delle toghe, ma questo potrebbe non essere stato l’unico coinvolgimento di Soavi nei corsi della Scuola. Dall’altra parte, Claudio Foti è stato relatore di incontri di studio promossi dal Consiglio superiore della magistratura per ben sette anni (1990, 2001, 2003 e dal 2006 al 2009). Alcuni di questi corsi sono stati riservati a magistrati in tirocinio, cioè a magistrati che stavano svolgendo il loro percorso di formazione dopo il superamento del concorso, prima di essere destinati a svolgere le funzioni di requirenti e giudici dei minori.
Sappiamo anche che gli incontri di studio tenuti da Foti e promossi dal Csm sono stati incentrati proprio sulle teorie su cui si fonda la metodologia del Cismai.
Tra i materiali allegati agli incontri di studio tenuti da Foti il 4 ottobre 2007 e il 17 giugno 2008 a Roma, e promossi dal Csm, vi è ad esempio un articolo pubblicato dallo stesso Foti sulla rivista Minorigiustizia e dedicato al tema del “negazionismo dell’abuso sui bambini”, paragonato addirittura al negazionismo dei genocidi: “Non esiste storia di un genocidio senza una schiera di negazionisti o revisionisti tesi a dimostrare che a ben vedere genocidio non c’è stato”. Secondo Foti, infatti, “è necessario, anche se mentalmente impegnativo, prendere atto di due penose verità: a) l’abuso sessuale sui minori è un fenomeno che ha dimensione endemiche nella nostra cultura; b) nonostante le sue dimensioni massicce, il fenomeno è destinato per molti aspetti a restare sommerso ed impensabile”. Esattamente le premesse enunciate nelle linee guida del Cismai. Foti cita anche una pubblicazione di Marinella Malacrea e Silvia Lorenzini (Malacrea è neuropsichiatra infantile e socio fondatore del Cismai), per criticare la corrente scientifica che promuove l’adozione di criteri rigorosi nell’ascolto dei minori, e che per questo contribuirebbe ad aumentare il rischio di falsi negativi, cioè di situazioni in cui l’abuso sarebbe avvenuto ma non viene rilevato: “La corrente scientifica che avvalora una giusta prudenza in vista del rischio di creare falsi positivi rischia di trasformarsi in cortocircuito che spinge a ‘diffidare’ comunque, senza possederne analiticamente le ragioni. E quindi, in definitiva, si arriva ad incrementare il numero di falsi negativi, pur nello sforzo in buona fede di evitare i falsi positivi”.
Foti si spinge addirittura ad affermare che “i dati relativi alle false accuse non possono basarsi sulle archiviazioni e sulle assoluzioni giudiziarie”, perché “non si può considerare il responso giudiziario come un fondamento di verità clinica e sociale, confondendo la verità giudiziaria con quella scientifica e dimenticando che la prima necessariamente deve tenere conto, giustamente ed inevitabilmente, del parametro delle prove ed inoltre risulta spesso condizionata vuoi da modalità d’indagine e processuali che tengono assai poco in considerazione le comunicazioni dei bambini, vuoi dalla scarsa preparazione psicologica dei giudici”. Insomma, se una denuncia per abusi su minori viene smentita in sede giudiziaria, significa che probabilmente la giustizia ha sbagliato.
In un altro passaggio, Foti cita una pubblicazione di Paola Di Blasio e Roberta Vitali (anche Di Blasio, docente di Psicologia all’Università Cattolica di Milano, è associata al Cismai), per sostenere che “non si è mai riusciti a dimostrare in chiave sperimentale la possibilità di instillare un falso ricordo se non riguardante un episodio in qualche modo plausibile, familiare per il soggetto su cui s’intende effettuare l’esperimento. Non è dunque assolutamente legittimo affermare che le domande induttive o suggestive abbiano di per sé il potere di costruire un falso ricordo di un episodio implicante un contatto corporeo e violento in assenza di psicopatologia diagnosticabile o di intenzionalità suggestiva di colui o colei che pone le domande”.
Foti scrive anche che “ogni rivelazione di abuso, anche se confusa e frammentaria, merita approfondimento”, rievocando in maniera quasi identica una delle raccomandazioni presenti nelle linee guida del Cismai (“la rivelazione va sempre raccolta e approfondita, anche se si presenta frammentaria, confusa, bizzarra”).
Nel materiale allegato a un altro incontro di studio tenuto il 3 dicembre 2008 a Roma, sempre promosso dal Csm, Foti cita alcune statistiche elaborate sempre da Marinella Malacrea (socio fondatore del Cismai) per dimostrare che gli abusi sessuali sui minori sono largamente diffusi nella nostra società. Afferma pure che un problema nel contrasto agli abusi è rappresentato dagli “avvocati e psicologi specializzati nella difesa di indagati e di imputati di reati sessuali sui minori”, che “tendono a sviluppare tesi funzionali alla difesa dei loro assistiti, cercando di dimostrare essenzialmente che l’abuso sessuale è spesso presunto erroneamente, che alto è il rischio di falsi positivi e che comunque non esistono procedure psicologiche o giudiziarie per accertare con sufficiente certezza un abuso eventualmente sussistente”. E conclude, infine, affermando di nuovo che “non si può introdurre nella mente di un bambino un falso ricordo che non sia in qualche modo plausibile, già presente nei suoi script interni”.
E’ sufficiente leggere i contenuti dei testi allegati a questi corsi di formazione per comprendere i rischi di una loro applicazione da parte dei magistrati, inquirenti o giudici, nel momento della valutazione delle denunce di abusi sessuali su minori. Non sappiamo quanti e quali magistrati abbiano partecipato alle giornate studio tenute da Soavi e Foti, né se le linee guida del Cismai illustrate nei corsi siano state poi effettivamente applicate dai magistrati. Ci sono però alcune coincidenze interessanti.
L’unica sede distaccata da Roma in cui Foti ha svolto un corso di formazione promosso dal Csm (il 29 febbraio 2008) è Salerno, dove le idee del Cismai si sono molto diffuse tra gli operatori. Proprio a Salerno negli ultimi anni sono emerse diverse vicende di denunce di abusi su minori che, dopo aver distrutto intere famiglie, si sono rivelate infondate. Queste denunce sono state raccolte proprio da assistenti sociali, psicologi e neuropsichiatri affiliati al Cismai, e poi portate avanti da magistrati. Rosaria Capacchione su Fanpage ha notato che una delle psicologhe della onlus Hansel e Gretel, Alessandra Pagliuca, dopo essere stata tra le tre psicologhe che alla fine degli anni Novanta collaborarono all’inchiesta sui “diavoli della Bassa modenese” (tra queste vi era anche Cristina Roccia, ex moglie di Foti), recentemente ha raccolto le denunce dell’esistenza di presunte sette sataniche in provincia di Salerno. Nel 2007 le denunce hanno portato a un’inchiesta che poi non ha prodotto alcun risultato. Antonio Rossitto su Panorama ha raccontato la vicenda, avvenuta sempre a Salerno, di un professore accusato di aver abusato delle figlie. Il caso andava verso l’archiviazione ma fu riaperto dopo il parere di Claudio Foti. Dopo un lungo processo durato nove anni, il 13 novembre 2015 l’uomo è stato assolto dal tribunale di Salerno, che ha criticato il metodo utilizzato da Foti, definendolo “un approccio contestato dal mondo scientifico”.
A questa serie di orrori giudiziari in terra salernitana siamo in grado di aggiungere almeno altri tre casi. Tutti i casi coinvolgono la neuropsichiatra infantile Maria Rita Russo, dirigente all’Asl di Salerno del servizio Not contro il maltrattamento dei minori, che, oltre ad aver condiviso con Foti la partecipazione a numerosi convegni e seminari sull’“ascolto delle emozioni” dei bambini, è stata tra i promotori (insieme anche ad Alessandra Pagliuca e alla onlus Hansel e Gretel di Foti) di un’associazione denominata “Movimento per l’infanzia”, presieduta dall’avvocato Girolamo Andrea Coffari, oggi legale di Claudio Foti.
Il primo caso riguarda un tenente colonnello dei carabinieri, accusato nel 2009 dall’ex moglie di aver abusato sessualmente del figlio di appena due anni e mezzo. A raccogliere la denuncia dell’ex moglie e ad ascoltare il minore fu proprio Maria Rita Russo, alla presenza della stessa madre del bambino, che partecipò attivamente ai colloqui. In seguito ai colloqui Russo rintracciò tracce di abusi sessuali nei confronti del minore e segnalò il caso alla procura. Il padre (difeso dall’avvocato Cataldo Intrieri) venne rinviato a giudizio ma, dopo un calvario lungo cinque anni, venne assolto in rito abbreviato dal gup di Salerno. Nelle motivazioni della sentenza, il giudice sottolinea la “fragilità dell’intero impianto accusatorio, sia per l’inconsistenza dei pochi elementi d’accusa effettivamente documentati, insufficienti perfino a delineare un’effettiva notizia di reato, sia per l’incredibile approssimazione con cui, a giudizio dei periti, sono state eseguite le indagini tecniche di parte, in larga misura caratterizzate dalla clamorosa e grossolana violazione dei più elementari criteri previsti dai protocolli nazionali ed internazionali comunemente accettati, in tema di ascolto del minore”.
Il giudice, infatti, nota come le modalità di svolgimento delle interviste al bambino “abbiano completamente disatteso le regole basilari individuate dalla comunità scientifica e riportate, per limitarsi ai documenti più significativi, nelle Linee Guida sull’ascolto del minore testimone, redatte all’esito della Consensus Conference del 2010, e nella cosiddetta Carta di Noto”. In particolare, afferma il giudice, “non si è minimamente tenuto conto dell’età del bambino”, che all’epoca dei colloqui non aveva compiuto tre anni e “non disponeva della capacità testimoniale”, non sono stati considerati i possibili condizionamenti derivanti dalle prime audizioni, che non erano state videoregistrate, né il fatto che a gestire le conversazioni fosse stata in larga misura proprio la madre del bambino. Inoltre, aggiunge il giudice, “le domande sono state poste con modalità guidate, incalzanti, confusive, suggestive” e “sono state più volte reiterate, talora con esplicite raccomandazioni a non dire bugie, in modo da innescare quel meccanismo di ‘compiacenza’ che solitamente si produce quando il bambino, ancora in tenera età, viene messo in condizioni di rendersi conto di aver fornito una risposta non gradita e finisce quindi per assecondare i desideri dell’interlocutore, specie quando questi sia una figura di riferimento affettivo, con inevitabile compromissione dell’attendibilità del narrato”. Per questi fatti Maria Rita Russo è stata rinviata a giudizio con l’accusa di false dichiarazioni al pm.
Il secondo caso riguarda due genitori accusati di aver costretto i loro figli ad avere rapporti sessuali con la sorella e a subire stupri di gruppo da conoscenti. Le accuse, raccolte sempre da Russo, hanno condotto a una condanna in primo grado per tutti gli imputati con pene tra i 10 e i 13 anni di reclusione. Lo scorso 12 luglio, però, il verdetto è stato ribaltato dalla Corte d’appello di Salerno, che ha assolto gli imputati dalle accuse di abusi sessuali e stupro di gruppo, dopo una nuova perizia che affermava come fossero state “violate le regole raccomandate in materia di ascolto dei minori”. Ad assistere uno degli imputati è stato l’avvocato Gerardo Di Filippo, che ora sta seguendo altri casi simili, da cui emergerebbero anche preoccupanti commistioni tra magistrati (e in particolare giudici onorari) e le case famiglia dove vengono spediti i minori. Il fratello di Maria Rita Russo, peraltro, è Michelangelo Russo, ex giudice della Corte d’appello di Salerno, che su un giornale locale ha definito “negazionisti” i giudici e i periti di Salerno che hanno riconosciuto l’infondatezza di molte accuse di abusi su minori.
Il terzo caso riguarda presunti abusi compiuti sui bambini di un asilo di Coperchia da parte di bidelli e personale amministrativo. Anche qui, nel corso del processo al tribunale di Salerno, è emersa l’assenza di alcun riscontro oggettivo sugli abusi.
Insomma, dopo la Bassa modenese e Reggio Emilia, anche Salerno pare una polveriera pronta a esplodere. Ma la principale domanda da porsi è: perché il Csm e la Scuola superiore della magistratura hanno aperto le porte a una metodologia non riconosciuta dalla comunità scientifica, permettendo ai magistrati di formarsi su questo approccio?