Perché la retorica leghista sugli stranieri criminali è esagerata (e falsa)
Il rapporto di metà anno di Antigone fotografa la situazione incancrenita delle carceri italiane, che restano le più affollate dell’Unione europea
La retorica dell'invasione e l'allarme sulla criminalità straniera sono alcuni dei tormentoni sui quali il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha costruito la sua campagna e il suo successo elettorale. Ma, tra le dichiarazioni con cui il leader della Lega ha raccolto consensi, ci sono affermazioni facilmente confutabili, dati alla mano. Pochi anni fa, il leader leghista sosteneva che gli stranieri nelle carceri italiane fossero i tre quarti del totale. È già stato dimostrato, con i numeri dei ministeri e dell'Istat, che non era così, ma oggi com'è la situazione? Secondo il rapporto di metà anno di Antigone, pubblicato il 25 luglio dall’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, sono 62.285 tutti i detenuti (italiani e stranieri) nelle carceri italiane, che restano le più affollate nell’area dell’Unione europea. Negli ultimi sei mesi i reclusi sono cresciuti di 867 unità e di 1.763 nell’ultimo anno. Il numero degli stranieri in carcere invece cala: sono il 33,42 per cento del totale, contro il 33,95 per cento di sei mesi fa. Dieci anni fa arrivavano a oltre il 37 per cento del totale: in questi anni sono calati del 3,58 per cento. Un dato significativo se si considera l’allarme mediatico sul tema e se si tiene anche conto del fatto che il numero totale degli stranieri in Italia è aumentato.
Diminuiscono, inoltre, gli ingressi in carcere delle persone straniere, che passano dal 44 per cento del 2017 all'attuale 41 per cento. Le nazionalità stranieri più presenti nelle carceri sono quella marocchina (18 per cento degli stranieri), quella rumena e albanese (12 per cento), tunisina (10,1 per cento) e nigeriana (8 percento). La distribuzione degli stranieri nelle regioni è tutt'altro che omogenea: la Lombardia ospita 3.723 condannati stranieri (più di un quinto del totale), il Lazio 2.515, ma è la Sardegna che viene definita dal rapporto “un contenitore dei detenuti stranieri”. Sono l'80 per cento dei prigionieri totali del carcere di Arenas e il 78 per cento a Nuoro.
La durata delle pene è aumentata soprattutto per i carcerati di origine italiana: gli ergastolani sono passati dai 1.707 della metà del 2017 (di cui 97 stranieri), ai 1.726 di giugno 2019. I cittadini stranieri hanno pene mediamente meno lunghe ma vengono condannati al carcere più frequentemente perché colpevoli di reati minori per i quali non si può accedere a misure alternative come gli arresti domiciliari. Infatti gli stranieri in carcere per custodia cautelare sono più del 41 per cento. Insomma, finiscono mediamente di più in cella anche da presunti innocenti. Ultimo dato importante da ricordare a Salvini è anche quello dei nostri concittadini reclusi in carceri di altri paesi, circa 4.000.
Il caso dei rumeni
Un politico italiano nel 2008 a proposito dei rumeni in Italia disse che non potevamo accoglierli perché l’Italia non è il vespasiano dell’Europa. Sono passati undici anni e il caso rumeno è eclatante. Oggi sono 2.509. Erano 3.661 nel 2013. Oggi rappresentano lo 0,21% del totale dei rumeni presenti in Italia (circa 1 milione e 200 mila persone). Sono diminuiti in percentuale di più di un terzo. È questo l’effetto dell’integrazione e delle seconde generazioni.
Manca nuovamente lo spazio
Come già dal XV rapporto annuale pubblicato da Antigone a marzo, anche questo nuovo documento descrive una situazione di affollamento carcerario pari al 119,8 per cento, con picchi del 200 per cento a Como, Brescia, Taranto e Larino. Se si dovesse rispettare questa progressione “nel giro di quattro anni ci troveremmo nella stessa situazione che produsse la condanna da parte della Corte europea dei diritti umani nel 2013”, scrive Antigone. "Nel 30,3 per cento delle carceri da noi visitate abbiamo trovato celle dove non erano garantiti i 3 metri quadri a detenuto. La Corte Europea ha affermato che in carenza di spazio dovrebbero essere garantite adeguate attività fuori dalla cella. Invece in molti istituti assistiamo a ingiustificate chiusure e a una progressiva dismissione del progetto della sorveglianza dinamica. La vita in carcere non deve coincidere con la vita in cella, tanto più se questa è inadeguata e affollata”.