Lo spaventoso stato di diritto secondo il capo dell'Anm
Per Luca Poniz gli italiani sono sempre colpevoli fino a prova contraria
Anche l’Associazione nazionale magistrati è intervenuta sulla riforma della giustizia su cui si sta consumando la frattura tra Lega e M5s. Il presidente del sindacato delle toghe, Luca Poniz, è intervenuto alla trasmissione “Radio anch’io” su Radio 1 Rai per difendere l’abolizione della prescrizione che dovrebbe scattare nel 2020, con alcune affermazioni singolari. “Non riesco a capire perché con la riforma della prescrizione che viene bloccata i processi dovrebbero durare un tempo indefinito – ha detto Poniz – Semplicemente si dissuade il ricorso al secondo e terzo grado di giustizia per chi è stato condannato e magari il reato lo ha commesso”. Insomma, l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che trasformerà i processi in persecuzioni a vita, secondo l’Anm è giusta perché gli imputati “magari” il reato contestato lo hanno commesso. E se “magari” il reato non è stato commesso? Anche per Poniz evidentemente gli italiani sono colpevoli fino a prova contraria, come nella migliore filosofia di Piercamillo Davigo (che non a caso è stato presidente dell’Anm tra il 2016 e il 2017). La riflessione di Poniz, per giunta, è anche sbagliata dal punto di vista tecnico, visto che il blocco dei termini di prescrizione scatterà semplicemente dopo una sentenza di primo grado, sia essa di condanna che di assoluzione. Di conseguenza, è errato affermare che la riforma “dissuade il ricorso al secondo e terzo grado di giustizia per chi è stato condannato”, visto che il blocco della prescrizione riguarderà anche persone assolte in primo grado.
Come se non bastasse, Poniz ha aggiunto che già quello sulla prescrizione “è un intervento sui tempi del processo”, lasciando quasi intendere che per l’Anm questo basti a riformare la giustizia italiana. L’abolizione della prescrizione, infatti, ha ribadito il presidente delle toghe, “dissuade a tempo indeterminato il ricorso strumentale a un giudizio successivo”. Un’altra visione singolare. In uno stato di diritto la facoltà di impugnare le sentenze di condanna costituisce un elemento imprescindibile del diritto di difesa, e non un’attività “strumentale”, da abbattere in nome di una presunta efficienza della giustizia.