C'è qualche garantista per Tatarella? Sì, a sinistra. Oggi il Riesame
Da tre mesi l’ex consigliere comunale è in carcere senza che vi sia stato l’inizio del processo
Il dolore di una persona in carcere la vedi dagli occhi della moglie. Che sono sempre impauriti anche se provano a farsi coraggio. Da quello che dice, dalle parole che usa con i figli per spiegare che papà non c’è, ma tornerà presto. Perché tornerà. Perché deve tornare. A Enea, il figlio di tre anni di Pietro Tatarella, l’ex consigliere comunale in carcere nell’ambito dell’inchiesta “mensa dei poveri”, mamma Miriam ha detto che sta ancora facendo la campagna elettorale per le Europee. “Ma quanto dura questa campagna?”. Per adesso, tre mesi. Ma potrebbe durare ancora. L’udienza del tribunale del Riesame che deciderà sulla eventuale scarcerazione è prevista per questa mattina. Il primo luglio era finito l’isolamento: oltre 40 giorni a Opera, con un’ora d’aria. I primi dieci giorni, senza televisione. In carcere Enea non ci va, e a Pietro manca tantissimo. L’hanno deciso insieme lui e la moglie, perché non si ricordi nulla di quegli stanzoni grigi. Avrebbero potuto concedergli di vederlo in un giardinetto. Ma così non è stato.
Durante questi tre mesi, a Pietro Tatarella è morta la nonna con cui è cresciuto, figura importante per la sua vita. Non gli hanno concesso di andare ai funerali. Nella settimana di Ferragosto, poi, l’hanno trasferito a Busto Arsizio. Senza dire niente alla moglie, alla famiglia, a nessuno. Come un pacco postale. La famiglia spera che torni a casa presto. Fabio Altitonante, coinvolto anche lui nella vicenda giudiziaria, è uscito dai domiciliari una decina di giorni fa. E’ dimagrito tantissimo. “Colpa del vogatore di là in stanza”, dice lui a chi è andato a trovarlo. Ma non è così. Ha pensato a Pietro, Fabio: se si soffre così ai domiciliari, chissà che cosa succede in carcere. Del resto Fabio e Pietro sono da sempre inseparabili. Il terzo del gruppo era Marco Bestetti, che però ha preso il largo: è una new entry politica nazionale, nominato coordinatore dei giovani di Forza Italia, e chissà, magari deputato al prossimo giro. Fin qui, la parte umana. Poi c’è la parte politica, giacché della parte giudiziaria se ne occupano i giudici, e non i giornalisti.
Politicamente, il caso Tatarella è uno scandalo. Dove è finito il garantismo? Chi è garantista oggi? Pare proprio che lo sia, almeno il Partito democratico milanese. Che all’ex avversario di aula, dimessosi da tutto, riserva il garantismo che dovrebbe essere per tutti i cittadini italiani. Il consigliere Alessandro Giungi, con forza: “Da tre mesi l’ex consigliere comunale Pietro Tatarella è in carcere. Tre mesi senza che vi sia stato neppure l’inizio del processo. Tre mesi di cui uno in completo isolamento. Dove siete garantisti a corrente alternata? Dove siete per le migliaia di persone detenute nelle stesse condizioni di Tatarella? Il carcere come strumento di pena ‘preventiva’ a me fa orrore”. Il suo post diventa virale, e dopo pochi minuti arriva quello di Pietro Bussolati: “Sia che Tatarella sarà ritenuto colpevole che innocente, si tratta di una detenzione preventiva senza che il processo sia nemmeno iniziato”. Il primo era stato però Mirko Mazzali, ex Sel, da sempre un garantista: “A proposito di custodia cautelare e di carcere. Che una persona detenuta venga trasferita senza che nessuno si preoccupi, neanche a trasferimento avvenuto, di avvisare i familiari è una cosa vergognosa”. E in tutto questo, il suo (ex) partito? Silente. Riemerge Massimiliano Salini, che commenta – pure lui – su Facebook: “In questa fase politica dobbiamo ripartire da alcune certezze. Quello che sta succedendo a Pietro Tatarella è una cosa che non deve accadere. La carcerazione preventiva, l’isolamento, la mancata comunicazione alla sua famiglia dello spostamento da un carcere a un altro sono barbarie a cui speravamo di non dover più assistere. Restiamo garantisti e restiamo umani. Pietro deve poter tornare a casa da suo figlio e sua moglie”. E ora il Riesame.
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