Ma quindi Facebook deve controllare o no i contenuti postati dai suoi utenti?
Dubbi giurisprudenziali. Pure Zuckerberg sembra confuso
La decisione di Facebook di oscurare i profili di CasaPound e Forza Nuova rinnova il dibattito relativo alla protezione del diritto di libertà d’espressione in rete. In alcune occasioni Facebook e altre piattaforme hanno sottolineato di essere degli editori e quindi di poter decidere quali contenuti violano i loro standard. Tuttavia è bene segnalare che questi standard spesso si presentano come ampiamente differenti. A giugno di quest’anno la Corte Suprema degli Stati Uniti, con una sofferta decisione (5-4), ha offerto un indirizzo che potrebbe influenzare questo dibattito. Nel caso Manhattan Community Access Corporation v. Halleck ha stabilito che una piattaforma privata che, su concessione pubblica, operava un servizio di trasmissione di video non potesse essere designata, ai sensi del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, come un “attore pubblico” soggetto agli ampi divieti di discriminazione riguardo alla scelta dei contenuti. Resta quindi in mano alla piattaforma il potere di operare delle scelte e di censurare o non pubblicare alcuni contenuti.
Come riconosciuto da numerosi commentatori, questa decisione ha un impatto potenzialmente notevole sulla regolazione delle piattaforme di social media che ricoprono un ruolo essenzialmente di “foro pubblico” pur essendo delle compagnie private. Durante una recente audizione al Senato degli Stati Uniti Ted Cruz ha chiesto a Mark Zuckerberg se è possibile considerare Facebook un “neutral public forum” in quanto, se questo fosse il caso, la piattaforma avrebbe molto meno margine per censurare dei contenuti. La risposta di Zuckerberg in quella sede non è stata chiara, si è infatti limitato a rispondere che Facebook è una “piattaforma per tutte le idee”. Una risposta che lascia ancora molti dubbi. Restano infatti vive alcune questioni dirimenti per il futuro della libertà d’espressione in rete: secondo quali criteri le piattaforme private decideranno di volta in volta di escludere alcuni attori dall’utilizzazione dei loro servizi? Sono zone d’ombra su cui, a oggi, la capacità di incidere del diritto pubblico appare minima se aderiamo all’opinione di chi considera Facebook un editore con tutte le conseguenze che questo comporta. Sul versante europeo, l’attivismo dimostrato da Facebook nella selezione dei contenuti che ospita supera il paradigma ventennale della neutralità delle piattaforme garantito dal diritto europeo fin dalla direttiva e-commerce del 2000, secondo la quale i cosiddetti hosting providers non hanno alcun dovere di sorveglianza sui contenuti pubblicati dagli utenti, di cui pertanto non sono responsabili.
Uno schermo di cui le piattaforme hanno spesso beneficiato, come nel caso Vivi Down v. Google in cui i giudici stabilirono che la società non avesse alcuna responsabilità per le condotte illecite compiute dagli utenti, in quanto non aveva alcun obbligo attivo di sorveglianza e, una volta ricevuta la segnalazione dell’illecito, si era comunque prontamente attivata. Di diverso avviso, ma in applicazione del medesimo principio giurisprudenziale, il Tribunale di Roma che, in una sentenza del febbraio di quest’anno, ha condannato proprio Facebook per aver ospitato su una propria pagina un link a contenuti di proprietà di terzi nonostante gliene fosse stata chiesta la rimozione dal titolare del diritto. Nel momento in cui Facebook rivendica il proprio diritto (e potere) di decidere chi e cosa ospitare sulla propria piattaforma, secondo un sistema di regole di cui lo stesso social network si è dotato in autonomia, cosa rimane del principio di neutralità delle piattaforme? Le “retate” contro CasaPound e Forza Nuova, dunque, oltre a sollevare interrogativi sul piano della tutela della libertà di espressione, sono la “confessione” di Facebook in ordine al proprio ruolo attivo nella selezione dei contenuti, e potrebbero in futuro chiamare in causa la responsabilità del social network per gli illeciti dei suoi utenti, che Facebook, a quanto pare, desidera sorvegliare, benché la legge non glielo chieda.