L'antidoto a Bonafede
La conferma del grillino come Guardasigilli è un rischio. Sta al Pd normalizzare la deriva punitivista
Quale penalista di lungo corso, e soprattutto come garante regionale siciliano dei diritti dei detenuti, raccolgo e condivido il grido d’allarme che da più parti si leva a causa della attuale situazione penitenziaria italiana. L’universo carcerario, sul territorio nazionale e nei contesti locali, non gode affatto di buona salute. Per una molteplicità di fattori noti e meno noti (riemergente sovraffollamento, degrado di non poche strutture, grave insufficienza di risorse e di personale, frequente carenza di attività trattamentali adeguate e di percorsi scolastico-formativi, ecc.), che la più recente gestione politico-amministrativa è stata ben lungi dal rimuovere o attenuare.
Al contrario, l’assunzione del ruolo di Guardasigilli, quasi un anno e mezzo fa, da parte di un esponente grillino di fede populistico-repressiva come Alfonso Bonafede, con le ricadute che ne sono altresì derivate sulla scelta del nuovo vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e sulla elaborazione delle rinnovate linee-guida gestionali, ha purtroppo prodotto – secondo un’opinione diffusa tra gli addetti ai lavori – ulteriori effetti negativi. Ciò sotto il triplice e fondamentale profilo delle condizioni di vita nelle carceri, della garanzia dei diritti dei detenuti e delle diverse attività e iniziative che dovrebbero (almeno in teoria) puntare all’obiettivo costituzionale della rieducazione. Non a caso, nelle interlocuzioni che come garante ho occasione di avere con funzionari e poliziotti penitenziari, educatori, esperti di vario tipo ed esponenti delle associazioni di volontariato, vengono usati per descrivere la drammatica situazione odierna addirittura termini quali disastro, sfascio, sbando, abbandono e simili.
Anche a voler concedere che l’impiego di termini come quelli di cui sopra possa peccare per eccesso di drammatizzazione, rimane il fatto che la recentissima conferma di Bonafede come ministro della Giustizia non può non destare giustificate preoccupazioni. E’ per questo che va sollecitata l’attenzione dell’attuale segreteria del Pd, quale nuovo partner governativo del movimento pentastellato, affinché i suoi dirigenti evitino di rimuovere o trascurare la questione carceraria e tentino di promuovere una svolta anche nella politica penitenziaria: per esempio, indicando un sottosegretario dotato di competenze in ambito carcerario e di orientamento più “liberale” che punitivista.
Che il Pd di oggi possa davvero assolvere una funzione di antidoto, o quantomeno di ragionevole calmieramento del fanatismo repressivo sinora predominante nel mondo pentastellato, non è però scontato. Incombe, in qualche modo e misura, un rischio. Cioè il rischio che nello specifico settore della giustizia penale la collaborazione governativa demo-stellata abbia, alla fine, esiti più perversi che virtuosi: non è infatti escluso che questa collaborazione rialimenti un certo giustizialismo e punitivismo purtroppo presenti, ormai da non pochi anni, anche nella cosiddetta sinistra progressista. Bisognerebbe scongiurare un tale pericolo. E’ perciò fortemente auspicabile che d’ora in avanti prevalgano, invece, quelle componenti politico-culturali di matrice per un verso liberal-garantista, e per altro verso umanitario-solidarista, che tradizionalmente hanno radici nel fronte progressista e ne rispecchiano al meglio lo specifico patrimonio ideale e valoriale.
Tutto ciò premesso, la svolta che ci si dovrebbe attendere dalla presenza del Pd nel nuovo governo va in una direzione intuibile: nella direzione cioè di uno sperabile recupero di quella riemergente prospettiva riformistica che, almeno a livello di iniziali intenzioni, aveva ispirato l’avvio degli “stati generali dell’esecuzione penale” su impulso del precedente Guardasigilli piddino Andrea Orlando.
E’ realistico adesso confidare in un tale recupero, nonostante la sopravvivenza di Bonafede come ministro della Giustizia?