Alfonso Papa (foto LaPresse)

Cosa ci dicono, sulla giustizia, quarant'anni di flop della legge Anselmi

Luciano Capone

La Corte d’appello ribalta la sentenza di primo grado, che aveva condannato Alfonso Papa a 4 anni e 6 mesi, per i crimini commessi nell’ambito di una presunta associazione segreta (una nuova P2)

Insomma, la P4 non è mai esistita. “Ma questo lo si era capito sin dalle prime fasi, lo sapevano tutti, almeno quelli che hanno seguito il processo. La P4 è esistita solo sui giornali”, dice al Foglio Alfonso Papa dopo il proscioglimento. La Corte d’appello ribalta la sentenza di primo grado, che aveva condannato l’ex magistrato a 4 anni e 6 mesi, per i crimini commessi nell’ambito di una presunta associazione segreta (una nuova P2) che avrebbe interferito e ricattato le istituzioni.

 

Nel 2011 Papa, dopo il voto favorevole della Camera è stato in carcere e agli arresti domiciliari, poco dopo la Cassazione ha annullato l’ordinanza di arresto per insussistenza dei presupposti e ora, dopo otto anni, arriva il proscioglimento per intervenuta prescrizione. A Luigi Bisignani, l’altro imputato eccellente, è andata peggio visto che per gravi problemi familiari aveva scelto di patteggiare. O forse meglio, dato che ne è uscito subito, mentre Papa è stato sì prosciolto, ma dopo otto anni e con una carriera politica e professionale distrutta. Questa storia – trascinata a lungo nonostante si parlasse di prove schiaccianti – ci mostra ancora una volta i soliti problemi della giustizia: l’eccessivo ricorso alle misure cautelari, la funzione dell’immunità parlamentare, i tempi dei processi. Ma è anche l’occasione per fare una riflessione sulla “legge Anselmi”, approvata nel 1982 dopo lo scandalo P2 per perseguire le società segrete dirette a “interferire” sugli organi costituzionali e le amministrazioni pubbliche.

 

A distanza di quasi quarant’anni, escludendo proprio il caso della loggia di Licio Gelli sciolta per via legislativa, la legge Anselmi non ha prodotto effetti. Non c’è mai stata cioè una sentenza definitiva di condanna per associazione segreta. E’ un dato sorprendente, se si considera che la legge Anselmi è stata approvata in contemporanea, e sulla base degli stessi princìpi di eccezionalismo, alla legge Rognoni-La Torre che invece ha prodotto molti effetti e sentenze nella lotta alle mafie. Nessuna condanna, ma tante inchieste clamorose. Inizialmente la fattispecie è stata anche poco applicata, si ricorda solo la rumorosa inchiesta del procuratore di Palmi Agostino Cordova che, a inizio anni ‘90, sequestrò centinaia e centinaia di faldoni sulla massoneria italiana, una mole enorme di materiale che occupava uno scantinato e che portò, nel 2000, a un’archiviazione generalizzata. L’indagine di Cordova fu così dispersiva che Francesco Cossiga gli inviò un triciclo, un cavallo a dondolo e un gioco in scatola per detective,“Cluedo”, con un bigliettino nel quale lo invitava a prendersi “un po’ di svago”.

 

Poi sono arrivati gli emuli di Cordova, che hanno usato una legge pensata per “contropoteri” capaci di stravolgere l’ordine costituzionale (come la P2) contro presunti comitati d’affari locali e società eversive in sedicesimo. De Magistris è stato un maestro, vedeva “massomafie” ovunque: Poseidone, Why Not, Toghe lucane. Tutti assolti, archiviati o prosciolti. E poi c’è stato chi ha seguito le piste battute da De Magistris vagheggiando, con l’inchiesta “Toghe lucane bis”, l’esistenza di una associazione segreta di magistrati ed ex 007 che aveva l’obiettivo di complottare contro il pm Henry John Woodcock. Niente da fare, nessuna loggia. Anche l’applicazione della legge Anselmi nelle inchieste sulla ‘ndrangheta non è stata efficace. Ma allora perché una fattispecie così difficile da provare – bisogna dimostrare l’esistenza di un’associazione e la sua capacità di interferire – è stata negli anni così frequentemente usata? L’ipotesi più ragionevole è il fatto che consente strumenti invasivi d’indagine, intercettazioni telefoniche e ambientali che altrimenti non sarebbero possibili. La società segreta decade presto, spesso in fase d’indagine, ma le intercettazioni restano. La novità è che questa strana pratica investigativa molto probabilmente sparirà: con la riforma di Bonafede è diventato così facile intercettare chiunque che gli inquirenti non avranno bisogno di inventarsi logge segrete. Sembra un passo avanti, ma forse è un passo indietro. E’ come se tutti, all’improvviso, fossimo diventati di diritto membri della P-Italia.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali