Il ribaltone in stile Mani Pulite è compiuto. Davigo conquista la maggioranza del Csm
Le vicende giudiziarie pesano sulle elezioni suppletive del Consiglio: eletto Nino Di Matteo (secondo dietro il più moderato Antonio D'Amato). Ora la corrente Autonomia e Indipendenza è la più numerosa con ben cinque componenti togati
Il plebiscito tanto atteso (e sperato dall’informazione più giustizialista) non c’è stato, ma alla fine il pm Nino Di Matteo, oggi in servizio alla Direzione nazionale antimafia, ce l’ha fatta ad essere eletto componente togato del Consiglio superiore della magistratura. Forte della notorietà mediatica che lo avvolge da anni, il pm del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia ha ottenuto 1.184 voti alle elezioni suppletive del Csm tenutesi domenica e lunedì, risultando il secondo candidato più votato. Un successo, ma non un trionfo, se si considera che Di Matteo, candidato per la corrente Autonomia e Indipendenza (guidata da Piercamillo Davigo), è stato battuto da Antonio D’Amato, procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere e magistrato (candidato per Magistratura Indipendente) semi-sconosciuto al grande pubblico, che ha ricevuto 1.460 voti. D’Amato e Di Matteo andranno a sostituire i due togati Antonio Lepre e Luigi Spina, che si sono dimessi dopo lo scandalo sulle nomine che ha travolto il Csm.
Terzo classificato il pm della Dda di Napoli, Francesco De Falco, titolare delle indagini sulla “paranza dei bambini”, che ha ottenuto 950 voti, seguito con 615 voti da Fabrizio Vanorio, esponente di Md e pm a Napoli, e da Anna Canepa, ex segretario di Magistratura democratica ed ex vicepresidente dell’Anm, oggi pm alla Dna, che ha raggiunto 584 voti. In tutto erano sedici i candidati per i due posti riservati a magistrati inquirenti.
Come avvenuto lo scorso anno alle elezioni ordinarie del Csm, la magistratura si riscopre quindi profondamente divisa tra un’ala più giustizialista, sensibile al fascino delle ricette forcaiole avanzate dai Davigo e dai Di Matteo, e un’ala più moderata, più attenta a evitare gli sconfinamenti delle toghe in politica e le strumentalizzazioni mediatiche, e che pur di non eleggere il pm simbolo dell’antimafia mediatica e militante ha preferito votare in massa il candidato della corrente più colpita dallo scandalo che ha travolto Palazzo dei Marescialli (tre dei cinque consiglieri costretti a dimettersi appartenevano a Magistratura Indipendente). Insomma, la magistratura moderata esiste ancora, e dimostra di non accettare i toni spropositati utilizzati da Di Matteo (che in campagna elettorale aveva persino paragonato gli accordi tra le correnti ai metodi mafiosi).
Nonostante il mancato plebiscito per Di Matteo, però, il ribaltone in Csm è compiuto. Lo scandalo di Perugia ha infatti stravolto la composizione del Consiglio e i rapporti di forza tra le correnti. La corrente di Davigo, Autonomia e Indipendenza, che fino a pochi mesi fa era la meno nutrita (con due soli consiglieri), oggi è la più numerosa con ben cinque componenti togati (prima di Di Matteo, a Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita si erano aggiunti Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, subentrati ai giudici dimissionari Corrado Cartoni e Gianluigi Morlini). Magistratura Indipendente e Unicost (la corrente centrista di cui per anni è stato leader Luca Palamara, al centro dell’inchiesta di Perugia) si ritrovano con tre consiglieri ciascuno, contro i cinque prima dello scandalo. Area, la corrente delle toghe progressiste, rimane ferma a quattro membri togati, anche se deve registrare l’ennesimo flop elettorale (in particolare la bocciatura dell’ex segretario Anna Canepa).
La situazione cambierà ulteriormente a dicembre, quando i magistrati dovranno tornare al voto per sostituire l’ultimo dei togati dimessi (il giudice Paolo Criscuoli), ma nel frattempo c’è da prendere atto del ribaltone politico avvenuto in Csm per mano giudiziaria, in stile Mani pulite, che consegna le redini della nuova maggioranza togata a Davigo, proprio colui che fu tra i protagonisti del ribaltone della stagione di Tangentopoli.