Mafia capitale era una fiction
Basta sceneggiati. La Corte smonta la tesi della procura di Roma nel processo del mondo di mezzo: la mafia era un fake
Roma. Mafia Capitale non era mafia. A stabilirlo, ribaltando clamorosamente il verdetto d’appello del settembre 2018, è stata la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha annullato senza rinvio la precedente sentenza, non riconoscendo il 416bis, e si è rimessa alla Corte d’appello per la rideterminazione della pena per 24 dei 32 imputati in relazione all’associazione a delinquere semplice. Sconfessata in maniera radicale la tesi portata avanti per anni dall’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, poi andato in pensione e recentemente diventato presidente del tribunale Vaticano. Non era mafia, dunque, ma una semplice associazione a delinquere quella che dal 2011 al 2 dicembre 2014, data in cui deflagrò l’inchiesta con decine di arresti e rilevanza mediatica in tutto il mondo, avrebbe operato nella Capitale accaparrandosi appalti per la manutenzione urbana (come punti verdi e piste ciclabili) e per il sociale (gestione dei migranti), coinvolgendo anche i vertici di Ama, la municipalizzata dei rifiuti.
A guidare il sodalizio criminale, secondo la procura, erano l’ex Nar Massimo Carminati, a capo di un gruppo criminale dedito all’usura e all’estorsione con base logistica presso l’ormai famoso benzinaio di corso Francia, e Salvatore Buzzi, imprenditore a capo di una compagine di cooperative sociali che offriva lavoro a ex detenuti, con la complicità di politici e funzionari pubblici. La ricostruzione della procura era già stata smentita in primo grado il 20 luglio 2017, quando i giudici del tribunale di Roma avevano inflitto condanne pesanti per 41 imputati (meno di 300 anni di carcere complessivi rispetto ai 500 chiesti dall’accusa) ma senza il riconoscimento del 416bis, l’associazione mafiosa. Era poi giunto il verdetto d’appello a ribaltare la sentenza e ad affermare l’esistenza della mafia nella Capitale, pur infliggendo pene inferiori.
Martedì la sentenza della Cassazione che ha riscritto di nuovo la storia, stavolta in maniera definitiva, dimostrando quello che il Foglio racconta ormai da cinque anni: nessuna mafia a Roma. Una sentenza inattesa, soprattutto perché a esprimersi è stata la stessa sezione della Corte di Cassazione che nel 2015 aveva confermato le misure cautelari per i principali indagati certificando per la prima volta l’esistenza di un’associazione mafiosa. E invece no, in un colpo solo i giudici hanno smontato l’intero castello accusatorio messo in piedi dalla procura di Roma sull’esistenza della mafia, e con esso cinque anni di retorica incessante su Mafia Capitale, su cui sono proliferate inchieste giornalistiche, libri e persino film.
“Bisognerà leggere le motivazioni per capire quali sono le questioni di diritto che hanno spinto la Cassazione ad annullare la sentenza della corte d’appello. Certo è che ora potremo finirla con le polemiche su ‘la mafia esiste o non esiste’. Bisogna infatti ricordare che la condanna di primo grado, che non aveva riconosciuto l’esistenza dell’associazione mafiosa, era in termini sanzionatori molto più pesante di quella di secondo grado. Su questo bisogna ragionare, non sulle etichette”, commenta a caldo al Foglio Costantino Visconti, docente di diritto penale all’Università di Palermo e membro nel 2013 della commissione che venne istituita dal ministero della Giustizia per elaborare proposte di riforme in materia di criminalità organizzata. “La questione di diritto fondamentale su cui si è basata la sentenza – spiega Visconti – è l’accertamento del metodo mafioso, cioè l’esistenza di un’organizzazione criminale che si sia avvalsa effettivamente della forza di intimidazione e dell’assoggettamento e dell’omertà che ne derivano. Io sono e continuo a essere sostenitore di una visione restrittiva dell’associazione di tipo mafioso: va bene ipotizzare l’esistenza di ‘piccole mafie’, non occorrono i corleonesi e il sangue sulle strade, ma bisogna accertare che ci sia stata una forma di intimidazione effettiva e dispiegata sul territorio e sulla comunità in cui opera l’associazione. Diversamente tutto è mafia, e quindi nulla è mafia. Nel caso di Roma leggeremo le motivazioni”. In attesa delle motivazioni una cosa è certa: nella Capitale d’Italia non è esistita una mafia. Ora chi lo spiega al resto del mondo, dopo lo sputtanamento epocale che gran parte della politica e dell’informazione ha inflitto al nostro Paese?