La giustizia è la vera mina vagante del governo rossogiallo
La democratica Valente attacca il ministro Bonafede durante un'audizione al Senato. È il segno che su questo tema le divisioni tra le forze della maggioranza sono più profonde di quanto non sembri
Se si dovesse scegliere una sola materia in cui il pregresso, quello che si è detto e fatto fino a ora, è in grado di mostrare le distanze tra le forze che compongono la maggioranza rossogialla, la scelta ricadrebbe, forse all'unanimità, sulla giustizia. E la giornata di oggi sta lì a dimostrarlo offrendo elementi “probatori” aggiuntivi a chi voglia sostenere questa tesi.
Dopo aver raccontato nell'intervista al Foglio di qualche settimana fa (innescando più di qualche malumore nel suo vecchio partito) che sulla giustizia la sua sensibilità fosse più prossima alle intenzioni del ministro Alfonso Bonafede che non a quelle dell'ex guardasigilli Andrea Orlando, Matteo Renzi questa mattina al Corriere ha corretto un poco la sua versione. “Conosco Bonafede da quando ci siamo sfidati nel 2009 per la carica di sindaco di Firenze. Già allora mi appariva per quello che è: una persona distante anni luce da me. Nel Paese del Beccaria la rivoluzione culturale non è godere se uno va in carcere ma far pagare le tasse a tutti” ha detto il leader di Italia Viva, ricordando come per il recupero delle risorse fiscali “più che il tintinnio delle manette serva l'incrocio delle banche dati”.
E la posizione dell'ex presidente del Consiglio, stavolta, non sembra essere molto distante da quella dei suoi ex compagni di partito. Dopotutto, la riforma più importante in materia giudiziaria portata avanti da Bonafede durante i mesi di grilloleghismo, è stata quella che riguarda i termini della prescrizione. Una legge che il Pd, quando era all'opposizione, ha sempre definito “inutile e pericolosa”.
E per capire che i Democratici (o almeno una parta di loro) non hanno cambiato idea basta guardarsi il video dell'intervento della senatrice dem Valeria Valente che oggi, in commissione Giustizia al Senato, durante l'audizione dello stesso ministro Bonafede, è andata all'attacco: “Pensare di sospendere la prescrizione sine die dopo il primo grado di giudizio, anche in caso di assoluzione, lo trovo un'aberrazione giuridica che mina i fondamentali di uno stato di diritto. Strizzare l'occhio al populismo penale non ci fa bene. Qui trattiamo di principi fondamentali, per cui dovremmo avere serietà e chiarezza delle posizioni”. E giusto per fugare ogni dubbio, la senatrice ha confessato di avere poco a che spartire con un movimento che garantisce supremazia al principio della “certezza della pena” rispetto a quello della “rieducazione del detenuto”. La risposta del ministro è stata un classico esempio del populismo penale. Per difendere l'introduzione della norma che porta la sua firma, ha infatti utilizzato a suo piacimento la strage di Viareggio (nel corso del processo per alcuni capi d'accusa è scattata la prescrizione che ha prodotto uno sconto delle pene), ergendosi a portavoce del senso di giustizia di cui sembrano essere assetati 60 milioni di italiani. Medesima maggioranza, linguaggi diametralmente opposti, sensibilità non comunicanti. In Commissione la distanza fisica tra i due mondi era di pochi metri, la lontananza valoriale un vero e proprio abisso.