Un deputato renziano spiega perché sulla prescrizione occorre reagire
Lo spartiacque non è tra giustizialismo e garantismo, ma stare dentro e difendere i dettami costituzionali o fuori. Ci scrive Camillo D’Alessandro
Al direttore – Lo sciopero degli avvocati italiani pone le forze politiche e il legislatore davanti ad un bivio. Non si tratta di una automatica condivisione di tutto, non si tratta di aderire, ma di riconoscere che esiste una emergenza democratica nel paese, la più pericolosa: il populismo penale.
La deriva giustizialista nutre l’idea di una legislazione penale orientata alla vendetta, allo scalpo da esibire, non alla garanzia di una eventuale pena proporzionata, se accertata, orientata alla presunzione di colpevolezza, non di innocenza fino all’ultimo grado di giudizio, orientata alla drammatizzazione finale di una giustizia da esercitare contro “i nemici del popolo” (chi sono ?), ma non in nome del popolo.
I populismi si nutrono di una semina irresponsabile di giustizialismo che invade, penetra, influenza l’esercizio del potere legislativo incapace di essere terzo, libero, dalla pressione del “popolo di Barabba”, la piazza, sempre più mediatica, virtuale, dove le pulsioni sostituiscono i diritti. Il riformismo non può avere paura, innanzitutto del confronto con chi legittimamente la pensa diversamente, ma che non significa adesione, il riformismo deve porsi il compito della contaminazione, a partire dalla prescrizione, non si può essere imputati per sempre. E per questo, proprio su questo tema, sulla barbarie relativa alla fine della prescrizione, il Parlamento non può stare solo a guardare ma deve agire per aprire una riflessione necessaria per arrivare ai correttivi rispetto all’impianto precedente.
Il riformismo è innanzitutto il coraggio di cambiare, altrimenti è una finzione. Il riformismo è tale se capace di esprimere autonomia di giudizio, ovvero consapevolezza, soprattutto in questa fase della storia del paese che non è neutra, rispetto alla tenuta della impalcatura di suo Stato liberale, democratico, repubblicano fondato sulla separazione e sulla autonomia dei poteri. Non condivido, per nulla, il ripiegare, ogni volta, il tema del diritto penale e del giusto processo ad uno scontro tra politica e magistratura, tirato in ballo dalle tifoserie tra garantisti e giustiziasti, come se giudici e pubblici ministeri fossero schierati militarmente tra i secondi. Per fortuna non è così. Di certo fanno più rumore alcuni casi di spettacolarizzazione rispetto al lavoro quotidiano , riservato e rispettoso, del corpo della giustizia italiana. Il punto è un altro e va rovesciato. Il populismo penale non preme, con evidente successo, influenzandola, solo sulla politica, ma diviene strumento di pressione, di aspettativa punitiva a prescindere (perché nella narrazione populista la giustizia coincide solo con la condanna), anche e soprattutto sulla giurisdizione e, quindi, sul processo, sin dalle sue fase preliminari. Abbaiamo assistito, spesso, ad attacchi indegni della piazza nei confronti di giudici rei di aver espresso una sentenza di assoluzione, perché l’aspettativa alimentata dal circuito della rabbia, rispetto a qualunque fatto socialmente rilevante, aveva espresso già la sua condanna, come se i processi penali, codice e procedura penale, dovessero risolvere conflitti sociali e non più accertare responsabilità individuali, come se il giudice dovesse ambire al consenso e non ad amministrare la giustizia. Ci troviamo di fronte ad un sovvertimento delle regole del diritto e ad un evidente salto di qualità: il populismo penale diviene ideologia da perseguire con conseguente iniziativa legislativa a tal punto da spingersi fino alle estreme conseguenze introducendo, nell’ordinamento, la possibilità di referendum propositivo sulla materia penale, che dovrebbe essere salvaguardata e garantita dagli impulsi, dagli istinti della paura e del risentimento. Io chiaramente ho votato contro.
Il riformismo vero non può esitare nel porsi alla guida delle istanze che provengono, sia dalla magistratura, quanto dagli avvocati, nella difesa dell’idea costituzionale del processo penale, nella difesa del principio della proporzionalità tra offesa e difesa e che l’accertamento dei fatti sia dentro il processo, in un giusto processo. In tal senso non può essere omessa la necessità, non più rinviabile, della introduzione in Costituzione della fondamentale figura dell’avvocato.
Di fronte a questa gigantesca questione il tema non può essere il calcolo della convenienza. Il nostro dovere è esercitare responsabilità. Lo spartiacque non è tra giustizialismo e garantismo, ma stare dentro e difendere i dettami costituzionali o fuori. Nessuna valutazione di opportunità può prevalere, ogni ripiego silente oggi sarà giudicato domani alla stregua di un codardo ritiro tematico, il più importante, quello dei diritti e dei doveri, quello delle libertà: quello della giustizia.
Camillo D’Alessandro, deputato di Italia viva