Nicosia, specchietto per le allodole del fronte antimafia contro la Consulta
La petizione del Fatto contro l’alleggerimento del 41 bis e il sostegno di magistrati e istituzioni in spregio di ogni principio basilare dello stato di diritto
Roma. Come era largamente prevedibile, il fronte dell’antimafia editoriale e militante (capeggiato dal Fatto quotidiano) ha colto al balzo la vicenda di Antonello Nicosia – l’attivista radicale arrestato con l’accusa di aver favorito alcuni detenuti mafiosi sfruttando le ispezioni in carcere della deputata Giuseppina Occhionero (non indagata), di cui era assistente parlamentare – per auspicare un ulteriore inasprimento del regime del carcere duro e anche restrizioni della possibilità di far visita ai reclusi per verificare lo stato di detenzione e il rispetto dei diritti umani (prerogativa riconosciuta a diverse figure istituzionali, tra cui i parlamentari). Si tratta dello stesso fronte che, contro ogni principio basilare dello stato di diritto, da settimane sta portando avanti una battaglia per chiedere alla politica di intervenire a livello legislativo per vanificare la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’ergastolo ostativo per quanto riguarda il divieto di accedere ai permessi premio.
Continuando a distorcere la realtà dei fatti (la pronuncia della Consulta non determinerà alcuna uscita di massa di boss mafiosi dal carcere, visto che saranno i magistrati di sorveglianza a decidere di volta in volta se riconoscere o meno il beneficio del permesso premio), il giornale diretto da Marco Travaglio e Peter Gomez ha persino lanciato una petizione online per chiedere una legge “che impedisca a capimafia e agli altri responsabili di stragi di truffare lo stato, i magistrati e i cittadini onesti ottenendo permessi e altri benefici senza meritarli”. Come ogni appello dai toni apocalittici e demagogici, anche questo ha ottenuto in pochi giorni una valanga di adesioni (quasi 70 mila). E pazienza se si tratta della solita petizione online priva di trasparenza, che chiunque può sottoscrivere infinite volte (paradossalmente anche utilizzando il nome di Totò Riina): il fronte antimafia ha trovato il suo specchietto per le allodole con cui celebrare l’esistenza di una presunta “volontà popolare”.
Così, mentre la campagna semi-eversiva contro la Consulta prosegue nell’indifferenza delle istituzioni, trovando pure il sostegno di magistrati (come i consiglieri del Csm Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita) e di politici (come l’immancabile Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia, che al Fatto ha detto: “Servono norme raffinate per negare i permessi ai boss”), ecco che la vicenda Nicosia giunge nel momento migliore a rafforzare il fronte. I risvolti del caso, a prima vista gravissimi, dovranno essere valutati in sede giudiziaria. Ma il Fatto non ha già dubbi sulla colpevolezza degli indagati e sulle conclusioni (generali) da trarre da questa (singola) storia: nessuna inflessibilità sul carcere duro, che anzi deve essere reso ancora più duro, a costo di violare i diritti umani e le pronunce della Consulta.
Per Travaglio, infatti, “dietro il garantismo all’italiana si celano collusioni” con la mafia. Per Marco Lillo esisterebbe una “lobby garantista cara ai criminali”, che poi coinciderebbe con quella radicale, che dai tempi di Pannella sarebbe collusa con i mafiosi perché promuove referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, perché si batte per un carcere rispettoso dei diritti umani e contro il “fine pena mai”, o perché vedrebbe tra gli iscritti anche avvocati che nel corso della loro professione sono stati chiamati a difendere imputati accusati di mafia (dimenticando che quello alla difesa è un diritto inalienabile previsto dalla nostra Costituzione).
Insomma, per il Fatto quotidiano è colluso con la mafia chiunque si permetta di difendere i diritti dei detenuti o degli indagati, o di dare retta a una pronuncia della Corte costituzionale che stabilisce che una norma (quella che vieta la concessione di permessi premio per gli ergastolani ostativi) è contraria alla Costituzione. Una prospettiva a cui, per giunta, sembrano aderire pericolosamente gli stessi pm della Dda palermitana, che in un passaggio del provvedimento di arresto di Nicosia contestano all’indagato di avere “addirittura portato avanti l’ambizioso progetto di alleggerire il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis o di favorire la chiusura di determinati istituti penitenziari giudicati inidonei a garantire un trattamento dignitoso ai reclusi”. Come se fosse un reato.
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