L'ex procuratore Franco Sebastio (LaPresse)

Il caso Ilva spiegato con la storia del pm ambientalista passato alla politica

Annarita Digiorgio

L'ex procuratore Franco Sebastio, tra protagonismo giudiziario e ambientalismo esasperato

Taranto. La vicenda attuale di Ilva inizia il 3 febbraio 2012, quando il procuratore capo di Taranto Franco Sebastio scrive all’allora ministro dell’Ambiente Clini, al governatore della Puglia Vendola, al sindaco di Taranto Stefàno e al presidente della provincia Florido, per chiedere quali iniziative intendano assumere a seguito dei risultati molto allarmanti della perizia epidemiologica disposta dalla giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, che prova l’altissimo livello di inquinamento dell’area circostante l’Ilva.

  

L’azione che il procuratore e i suoi validi pm intrapresero li portarono in quella calda estate tarantina a divenire presto i leader indiscussi dell’ambientalismo esasperato, quello che all’epoca manifestava al grido di “arrestateli tutti” e che ancora oggi sfila con le frasi di quei pm sugli striscioni branditi durante manifestazioni sempre meno affollate. Eppure fu lo stesso procuratore capo a riferire che era stato il sindaco di Taranto a dirgli “qui ci sono delle violazioni in atto dovete intervenire”. La qual cosa non bastò per far si che si ritrovasse imputato nel processo per omissioni in atto di ufficio a tutela della salute.

 

I colloqui del procuratore non si interruppero nemmeno quando al governo arrivò Enrico Letta: fu sempre il Sebastio a dichiarare, a margine di un successivo decreto salva Ilva, che prima di vararlo si sentirono con il premier per dirsi “aiutamoci”.

  

E anche in quel caso i colloqui non bastarono alla procura di Taranto per evitare numerosi ricorsi di incostituzionalità contro quei decreti. Ma a mettere in ginocchio Ilva fu il sequestro, sempre preventivo, di 1 milione e 700 mila tonnellate di prodotti finiti stoccati al porto di Taranto, molti dei quali già commercializzati, per un valore di circa un miliardo di euro. Mentre la mannaia preventiva sulle persone e sulla sovranità popolare cadde il 26 settembre 2012 quando vennero eseguite sette ordinanze di arresto cautelare nei confronti di vertici e amministratori dello stabilimento e di dipendenti di pubbliche amministrazioni, tra cui l’allora presidente della provincia Gianni Florido (sette giorni dopo, appena dopo aver dato le dimissioni facendo cadere la giunta, venne immediatamente scarcerato. Il processo inizió solo a fine ottobre 2013 con mille richieste di parte civile e 53 imputati tra cui il direttore Arpa Giorgio Assennato, quello che fornì i dati ambientali e sanitari necessari per incardinare l’indagine. E che nel dibattimento sta smontato molte delle intercettazioni erroneamente trascritte.

  

Il protagonismo giudiziario è proseguito fino al provvedimento del guardasigilli Orlando che anticipava il pensionamento dei magistrati, cui il procuratore provò resistere ricorrendo al Tar dichiarandola una “questione di principio”, ma il Csm fu implacabile. Per Sebastio si riaprirono le porte dell’avvocatura e della politica: il neoeletto presidente della regione Puglia, l’ex collega Michele Emiliano, lo nominò nella sua tanto personale quanto inutile superlista dei saggi. Del resto i due erano amici da molto tempo, come ebbe a dire Sebastio quando, durante il ballottaggio per il sindaco di Taranto nel 2017, decise di sostenere il prescelto di Emiliano. Da candidato sconfitto. Infatti il procuratore neopensionato era candidato a sindaco, sostenuto da Rifondazione comunista e persino Sinistra italiana, partito di cui erano leader Vendola e Fratoianni, entrambi imputati nel processo “Ambiente svenduto”. Processo che si trasferì in una campagna elettorale in cui erano candidati giudici e indagati. L’elezione andò malissimo, ma scattò il seggio dell’ex procuratore. L’appoggio al ballottaggio al candidato di Emiliano spaccò la coalizione, che polemizzò aspramente contro la sua personale scelta di sostenere il candidato appoggiato dai responsabili dei decreti Ilva. Eletto l’attuale sindaco, l’ex procuratore rifiutò il ruolo di presidente del Consiglio comunale e fu nominato Assessore alla cultura. L’incarico durò fino a quando il sindaco non ruppe con Emiliano, liberandosi anche di Sebastio. Il quale trovò subito ricollocazione come presidente della Ladisa, l’azienda leader della ristorazione delle mense pubbliche pugliesi che, secondo l’indagine in corso a carico di Michele Emiliano, potrebbe avergli pagato l’agenzia di comunicazione per la campagna elettorale delle primarie a segretario nazionale del Pd.

   

Come ebbe a dire in un suo celebre corsivo su queste pagine il compianto e maestro Massimo Bordin, che non si fece scappare la scalata politica del procuratore Sebastio: “Viene da pensare che la fusione sia venuta male e nell’altoforno ci sia finito Montesquieu”.

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