Il “teorema del pedofilo” di Davigo applicato all'Ilva
I pasticci della procura di Trani e i rischi giudiziari per lo stabilimento di Taranto
Chissà se anche in questo caso per Piercamillo Davigo vale il teorema del pedofilo, quello che lui usa sempre per dimostrare che i politici indagati devono dimettersi. “Se il mio vicino di casa è rinviato a giudizio per pedofilia, io mia figlia di sei anni non gliel’affido quando vado a fare la spesa. Poi, se verrà scagionato, si vedrà”. Nel caso di specie ci troviamo di fronte non a un rinvio a giudizio, ma a una condanna per tentata violenza privata. E non di fronte a dei politici ma a due magistrati. Sono due pm della procura di Trani, Michele Ruggiero (che tra l’altro fa parte proprio della corrente di Davigo) e Alessandro Pesce, condannati dal tribunale di Lecce rispettivamente a un anno e 8 mesi, perché in una loro inchiesta su una presunta corruzione hanno esercitato pressioni su tre testimoni al fine di costringerli ad accusare un indagato di aver intascato delle mazzette. L’interrogatorio svolto con modalità intimidatorie, violenze verbali, minacce di arresto e di coinvolgere i loro famigliari, non solo non ha piegato i testimoni a confessare cose che non conoscevano. Ma ha costituito un reato secondo le accuse, accolte dai giudici di primo grado, del procuratore di Lecce, Leonardo Leone De Castris, e della pm Roberta Licci. Affidereste vostra figlia di sei anni a un condannato di primo grado per violenza privata?, è la domanda che si porrebbe un Davigo qualunque, chiedendone le immediate dimissioni. Per fortuna l’Italia è ancora un paese civile, dove vige lo stato di diritto, e anche per i due pm vale la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva che dimostri il contrario.
Un tema più rilevante su cui però Davigo, in quanto membro del Consiglio superiore della magistratura, dovrebbe riflettere è ciò che sta emergendo dalla procura di Trani. Ruggiero era il pm di punta, colui che per anni ha condotto roboanti inchieste contro la finanza internazionale finite sulle prime pagine della stampa mondiale e che non hanno portato a nulla. Ma non è l’unico magistrato a processo. Sempre a Lecce è in corso quello sul cosiddetto “sistema Trani”, dove sono accusati di corruzione in atti giudiziari, estorsione e truffa tre magistrati che lavoravano a Trani: i pm Antonio Savasta e Luigi Scimè e il gip Michele Nardi. Dall’indagine è emerso un sistema diffuso di corruzione che vede coinvolti giudici e avvocati. L’ex sostituto procuratore Savasta ha già ammesso di aver preso tangenti e ha coinvolto i colleghi, che però respingono le accuse. A testimoniare sarà sicuramente chiamato l’ex capo della procura di Trani, Carlo Maria Capristo, che attualmente guida la procura di Taranto. A Capristo probabilmente verrà chiesto dei rapporti tra Nardi e un imputato, l’avvocato Giacomo Ragno, che poi sono le due persone che prepararono la sua festa di insediamento a Trani. Capristo tra l’altro è indagato – e siamo a quota sei magistrati tranesi indagati – per abuso d’ufficio nella intricata vicenda del falso complotto Eni. Insomma, a Trani in questi anni – e sul Foglio ce ne siamo occupati a lungo – è accaduto di tutto: protagonismo giudiziario, inchieste campate in aria, testimoni maltrattati e minacciati, indagini pilotate, magistrati corrotti e nessuno si è accorto di nulla.
Come abbiamo già scritto, escludendo qualsiasi ipotesi di complicità, Capristo non ha certo dato una grande prova di fiuto investigativo né di capacità gestionale di una piccola procura ormai smantellata da indagini e arresti. Eppure il Csm lo ha promosso con un largo consenso a capo della procura di Taranto, dove adesso si ritrova a gestire la crisi dell’Ilva. Nonostante questi risultati non proprio incoraggianti il Csm non gli ha affidato, come nel teorema del pedofilo di Davigo, una bambina di sei anni ma le sorti della più grande acciaieria d’Europa. Speriamo sopravviva.