Giustizia totale
Se chi fa politica non ha una politica, il vuoto è occupato dalle procure. Il paradosso: molti gli indagati, pochi gli autori di reato sanzionati. L’inchiesta sulla Fondazione Open, la diffusione degli atti e la gogna mediatica, il ruolo (mutato) del Csm
Molti episodi hanno riportato i riflettori sulle procure. Due procure, Milano e Taranto, si interessano di Ilva. La procura di Firenze della Fondazione Open. Tirreno Power ha subìto danni gravissimi, per una accusa finita in nulla, come osservato da Franco Debenedetti il 29 novembre scorso.
Cominciamo dai dati. Il presidente del Tribunale di Torino, all’inizio del 2019, nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario, ha valutato in 150 mila per anno le persone accusate, indagate, interrogate, in molti casi incarcerate. Tre quarti degli inquisiti sono però risultati innocenti, ma hanno ottenuto questo riconoscimento dopo quattro anni di persecuzione. Non solo lui ha lamentato l’abbondanza di processi che non stanno in piedi, perché male istruiti, e di azioni penali senza fonti di prova certe. Gli ha replicato il procuratore generale di Torino, ma senza smentire i dati. Nonostante questo, secondo l’allora procuratore della Repubblica di Perugia (Repubblica, 23 giugno 2019) l’80 per cento dei reati finisce con autore ignoto. Del restante 20 per cento, il 60 per cento si risolve con una assoluzione o prescrizione. Questo significa – ha aggiunto – che solo l’8 per cento dei cittadini vittime di un reato ottiene giustizia. Possiamo essere soddisfatti di questa situazione, nella quale molti sono gli indagati, pochi gli autori di reato sanzionati? Un grande esperto della materia, Filippo Sgubbi, ha dedicato un libro a questa situazione, un importante volume il cui solo titolo è molto significativo: Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpe. Venti tesi (Bologna, il Mulino, 2019).
Passiamo dal quadro generale all’indagine avviata dalla procura fiorentina sulla Fondazione Open.
Qui bisogna cominciare dalle leggi del 2012 e 2013 sul finanziamento dei partiti politici. La seconda ha abolito i contributi pubblici per attività politica e previsto contribuzioni volontarie fiscalmente agevolate, consentendo di donare non più di 100 mila euro. Ha anche istituito una commissione di Garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici. La commissione è composta da un magistrato di Cassazione, uno del Consiglio di stato, tre della Corte dei conti. La norma del 2013 ha equiparato ai partiti le fondazioni composte da uomini di partito o controllate dai partiti.
Questa è la premessa. Che cosa è successo?
Da quello che risulta dai quotidiani e con tutte la cautele del caso, visto che sto valutando atti e procedure che non conosciamo direttamente, la procura fiorentina risulta aver iniziato una indagine per riciclaggio, autoriciclaggio, appropriazione indebita aggravata, false comunicazioni sociali, violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Un decreto di perquisizione e perfino la foto di una pagina del telefono di un indagato sono divenuti di dominio pubblico, nonostante quel che dispongono le norme del codice di procedura penale e le disposizioni di attuazione relative, in ordine ai provvedimenti di sequestro.
Lei come valuta la situazione?
Con tutte le riserve di un esame compiuto solo su quello che riferiscono i giornali, si può osservare che la materia sarebbe sottoposta alla Commissione che ho menzionato, che le violazioni sono sottoposte a sanzioni amministrative (pecuniarie), che le indagini, con i relativi sequestri, si sono allargate a tutti coloro che avevano donato 50 mila euro o più, che si sono estese a molti soggetti, senza che sia chiara la proporzionalità di un intervento così ampio. Si ripropongono due problemi molto discussi. Quello della circolazione di atti che dovrebbero essere diretti solo agli interessati. Quello del “naming and shaming”, della circolazione di notizie e indicazione di nomi di persone, fatte allo scopo di additarle al pubblico ludibrio. Si può legittimamente chiedere che la magistratura requirente stia attenta e proceda con quella cautela che è propria di un magistrato. L’accaduto meriterebbe una inchiesta interna della procura e una inchiesta esterna, del Csm. Altrimenti, si dà ragione a chi sostiene che, dei poteri dello Stato, l’unico che non risponde a nessuno è la magistratura (le procure). O a chi ritiene che le procure seguano propri indirizzi politici, cercando di influenzare l’opinione pubblica. O – peggio – a chi ritiene che le procure si facciano strumentalizzare da forze o orientamenti politici esterni, così non meritando l’indipendenza assicurata dall’ordinamento all’ordine giudiziario nel suo complesso.
Passiamo all’altro episodio, quello del Csm, su cui è caduto troppo presto il silenzio. Inoltre, non si è fatto nulla per rimediare, pur essendo i guasti rilevati molto gravi.
La ferita, infatti, è molto grave e occorreva porre riparo. Il silenzio che è calato è segno di un ulteriore pericolo, quello che deriva dalla incapacità del corpo di rimediare, cercando idonee soluzioni, o dalla volontà di non farlo. Quello che venne fuori (anche qui in modo che appare irregolare) sono l’assenza di criteri obiettivi di selezione, l’influenza nelle scelte dei titolari di interessi di magistrati a ottenere certi risultati, il ruolo svolto da uomini politici in posizioni che non sarebbero consentite. Il Csm è una sorta di direzione generale del personale collettiva, istituita per isolare l’ordine giudiziario da pressioni esterne esercitate attraverso il governo delle carriere. E’ diventato uno strumento di trasmissione di pressioni interne, di corrente, oppure personali, in collegamento con persone appartenenti al mondo dei partiti.
Ma come è emersa la prassi procedurale impropria e illegittima?
Nel solito modo: divulgazione di atti che dovrebbero esser noti solo alle parti, per di più con dettagli irrilevanti per il diritto, anche se rilevanti per il costume. Anche qui nominando per svergognare. Le registrazioni di comunicazioni così divulgate sono state raccolte, questa volta, attraverso uno di quegli strumenti che si chiamano “trojan”. Si tratta di strumenti di dubbia legittimità: ricordo la sentenza della Corte costituzionale tedesca che definiva l’area della vita privata che non può esser invasa neppure dal magistrato; il fatto che la nostra Costituzione usa tre volte l’aggettivo “inviolabile” riferito a diritti, una delle tre essendo relativa alla corrispondenza, in cui è inclusa quella telefonica; la circostanza che l’articolo 111 della Costituzione dispone che “nel processo penale la persona accusata è informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa”. Raccolte mediante ricorso a strumenti di dubbia legittimità, le registrazioni delle conversazioni sono arrivate ai giornali con mezzi certamente illegittimi.
Sin qui ha detto del modo di procedere. Passiamo al merito.
Colpiscono alcune circostanze che mostrano assenza di rispetto delle istituzioni e di regole deontologiche elementari. Colloqui su argomenti ufficiali, come la scelta di titolari di cariche pubbliche, che si svolgono in ristoranti invece che in ufficio. Partecipazione a tali colloqui di persone estranee al Csm. Ricorso ad argomenti estranei (persone indicate “perché è dei nostri”, non per le qualità personali e le esigenze della carica). Decisioni “a pacchetto” (scelta di più persone insieme, in modo da accontentare tutti). Insomma, metodi molto irregolari. Infine, gravi illeciti. Ad esempio, scelta di persone per pilotare inchieste a carico di qualcuno; quindi interferenza della selezione del personale con le procedure d’ufficio delle procure, cioè proprio la stortura per evitare la quale era stato istituito il Csm. Domanda: se i magistrati si ergono a tutori della morale e alcuni di essi, in cariche importanti, sono immorali, come se ne esce?
Ma i metodi che sono emersi dalle intercettazioni avevano qualche giustificazione.
Sì, lo so. La decisione di portare da 75 a 70 anni l’età del pensionamento ha aperto la strada improvvisamente a un migliaio di nomine, creando aspettative di carriera legittime.
Tiriamo le fila.
Primo: l’ordine giudiziario è un potere fondamentalmente sano, anche se poco efficiente. Si muovono al suo interno, però, poche persone che non rispondono agli alti standard richiesti a un magistrato. Secondo: le ferite alla legittimità inferte da coloro che dovrebbero assicurarla alimentano l’anti Stato. Terzo: se chi fa politica non ha una politica, il vuoto è occupato dalle procure.