Il processo, giusto se tempestivo. La prescrizione secondo Maresca
Parla il magistrato che alla Camera ha demolito la riforma Bonafede. La delusione per la mancata nomina all’Antimafia
“Il processo è giusto se è tempestivo”, scandisce al Foglio Catello Maresca, sostituto procuratore di Napoli, attualmente in forza al pool dedicato ai reati contro la Pubblica amministrazione e con deleghe in materia di terrorismo. Maresca ha trascorso dieci anni alla Direzione distrettuale antimafia, il tempo massimo previsto dalla legge. Nel 2007 eredita dalle mani di un altro super magistrato, Raffaele Cantone, il testimone delle inchieste che conducono all’arresto del boss dei casalesi Michele Zagaria. Sotto scorta da dodici anni, Maresca ha concorso per un posto alla procura nazionale antimafia ma, a metà novembre, il Csm lo ha bocciato. “Il mio rispetto per le istituzioni mi impone di non commentare una decisione del Csm”. Ricorrerà al Tar? “Mi riservo di leggere le motivazioni che hanno portato alla designazione di un altro candidato”. Che non ha esperienza di antiterrorismo ma era in servizio a Palermo, come il neoconsigliere togato Nino Di Matteo che ha contrastato la sua nomina. “Non è stato il solo ma l’opposizione è partita da lui”.
Dopo lo scandalo per il caso Palamara è calato il silenzio sulle nomine al Csm. Tutto risolto? “Le correnti non sono il male assoluto ma la loro degenerazione sì”.
Lei è vicino a Unicost, la corrente messa in minoranza dall’attuale alleanza tra i davighiani e la sinistra di Area. “Mi rifiuto di pensare che esistano maggioranze precostituite. Le decisioni si prendono nel merito, non su posizioni pregiudiziali o, peggio ancora, per giochi di potere”.
La prescrizione: “Un principio di garanzia democratica”.
Un voto al sistema giustizia italiano: “Cinque”. Rimedi per processi
più spediti: “Andrebbe ripensata l’obbligatorietà dell’azione penale
che impone di seguire indistintamente tutti i procedimenti,
impresa umanamente impossibile”
Nel corso della sua recente audizione in commissione Giustizia alla Camera, lei ha demolito la “riforma Bonafede” sulla prescrizione. “Ho detto quello che penso”. La cosa strana è che la sua audizione è stata richiesta proprio dai pentastellati. “Uno di loro mi ha ascoltato in un convegno sulla legalità ed è rimasto colpito, così mi ha detto. Comunque non so, dovrebbe chiedere lumi a loro”. Dal primo gennaio la prescrizione sarà, di fatto, abolita. “In effetti, la parola giusta è ‘abolizione’, anche se i fautori la presentano come una mera sospensione dopo il primo grado di giudizio. La prescrizione è un principio di garanzia democratica. A distanza di anni, un reato si estingue per via del decorso del tempo, e ciò ha due ragioni principali: il diritto all’oblio vale per l’indagato come per l’imputato e per la persona offesa; e poi il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. Se punisci un bambino a distanza di giorni dalla marachella commessa, non capisce il perché e torna a sbagliare. Con la prescrizione di un reato viene meno la potestà punitiva dello stato: magari la persona colpevole si è reinserita socialmente, lavora e conduce una vita onesta. Ugualmente, la persona offesa, a vent’anni dal fatto, difficilmente potrà ottenere un vero risarcimento del danno subito”.
L’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati propone una “prescrizione processuale” con una durata massima prefissata per ogni grado di giudizio. “Un conto è la prescrizione del reato, un altro è la prescrizione processuale che prevede sanzioni in caso di violazione di certi termini: le due cose non andrebbero confuse. La legge Pinto, che disciplina il diritto di ottenere un risarcimento a causa della irragionevole durata dei processi, stabilisce che il primo grado debba durare tre anni, l’appello due, e il giudizio di legittimità un solo anno”.
E’ sufficiente fissare termini temporali ex lege per avere processi più rapidi? “Certo che no, la questione è prettamente organizzativa. Con l’abolizione della prescrizione, le corti d’appello, già oggi tra gli uffici più oberati, sarebbero inondate di faldoni con un aumento esponenziale degli ‘eterni giudicabili’, fenomeno già censurato dalla Corte costituzionale”.
Che voto merita il sistema giustizia? “Cinque”.
Rimedi per processi più spediti? “Se le lungaggini riguardassero un unico ufficio, basterebbe porre la lente di ingrandimento sull’operato di pochi magistrati. Ma in Italia l’inefficienza è un dato sistemico. A mio giudizio, andrebbe ripensata l’obbligatorietà dell’azione penale che impone di seguire indistintamente tutti i procedimenti, impresa umanamente impossibile. Poiché alcuni fascicoli sono obiettivamente più urgenti di altri, magari perché destano un maggiore allarme sociale, si potrebbe prevedere una corsia preferenziale: il capo dell’ufficio o il procuratore generale del distretto potrebbero fissare, nell’ambito delle tabelle organizzative in uso, le priorità legate al momento storico o a una specificità territoriale. Se il contrasto delle baby gang, degli stupri o del traffico di droga diventano prioritari, vengono affrontati con maggiore rapidità. L’iniziativa dell’allora procuratore generale di Torino Marcello Maddalena in questa direzione fu bocciata dal Csm”.
Sulle priorità di politica criminale forse dovrebbe esprimersi anche la politica, magari il Parlamento. “Ciò comporterebbe l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, io invece ne propongo una riforma graduale. Poi servono altri interventi ben ponderati: dobbiamo telematizzare il processo penale che prevede ancora la consegna manuale delle notifiche. Per questo parlare di prescrizione mi sembra un fuor d’opera. Si pensi piuttosto al dispendio di tempo quando uno dei tre giudici del collegio cambia e si deve ricominciare daccapo con il riesame dei testimoni. In uno stato democratico non è ammissibile che su questioni fondamentali per l’amministrazione della giustizia intervenga la Cassazione e non il legislatore. La mobilità interna dei magistrati comporta enormi ritardi, e contro l’ostruzionismo formalistico il legislatore non agisce neanche a seguito di una pronuncia delle Sezioni unite secondo la quale la riassunzione della prova va espletata solo dove non sia superflua. I processi di criminalità organizzata viaggiano su un doppio binario, che si potrebbe estendere anche agli altri reati in modo da scongiurare l’effetto dilatorio di processi che passano di mano in mano”.
In Italia nessuno conosce il numero esatto delle fattispecie penali, alcuni anni or sono il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa fissò un numero: 35 mila. Non sono troppe? “Serve un serio programma di depenalizzazione. All’università ci insegnavano che il processo penale è extrema ratio, oggi invece tutto viene demandato al penale anche se il più delle volte le sanzioni civili e amministrative sono più tempestive ed efficaci. Molte questioni di conflittualità privata, dalla diffamazione alle minacce alle truffe contrattuali, dovrebbero trovare un rimedio in sede civile, nell’interesse della persona offesa”.
Il penale è la nuova panacea. “Depenalizzare non significa desanzionare ma sanzionare in maniera effettiva ed efficace”.
Alla Camera lei ha detto che il sistema delle pene è fermo a Cesare Beccaria. “Solo una pena certa svolge una funzione general-preventiva. L’Italia è tra i pochi paesi che ti concedono un condono di pena in fase esecutiva per il semplice fatto di essere un detenuto. Se non picchi il secondino e non litighi con il compagno di cella, ottieni uno sconto di quarantacinque giorni ogni sei mesi. Un sistema così congegnato fa a pugni con la certezza della pena comminata dal giudice”. Lei lavora a Napoli e conosce il carcere di Poggioreale: chi può ritenere credibilmente che un carcere così ridotto rieduchi il detenuto? “E’ chiaro che non lo rieduca, e la cosa peggiore è che la situazione partenopea accomuna numerosi istituti penitenziari italiani”.
Dopo la bocciatura del Csm, che cosa immagina per la sua carriera? “Sono deluso, non glielo nego. Franco Roberti e Franco Cafiero de Raho, gli ultimi due dirigenti della Procura nazionale antimafia, sono tra i miei maestri. Non so che cosa mi riserva il futuro”.
A 47 anni immagina forse un cambio di professione? La politica? “A vent’anni sono stato consigliere comunale a San Giorgio a Cremano per una lista civica. Ma in questo momento non ci penso”.
E’ vera la sua passione per il presepe? “Sì, l’ho ereditata da mio padre. E’ uno strumento di evangelizzazione per mostrare la grandiosità della nascita di Cristo”. La disturba, da credente, lo sventolio di rosari da parte di Matteo Salvini? “Non vedo nulla di scandaloso. Anzi, mi riconosco in un simbolo di cristianità, un messaggio positivo in una società in crisi spirituale”. Dalla prescrizione al presepe: i punti in comune con la Lega salviniana non mancano. “L’Italia è un paese molto ipocrita, e io, se dovessi riconoscermi una qualità, direi che l’ipocrisia mi è del tutto estranea. Ragiono a prescindere da ideologie precostituite. La mia ideologia è l’esperienza”.