Di Matteo non convince Fiammetta Borsellino sul depistaggio di Via d'Amelio
Durante la sua deposizione al processo in corso a Caltanissetta il magistrato non ha fornito elementi per capire cosa accadde con il pentito Scarantino. La figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra: “Sono delusa e amareggiata”
Roma. Un depistaggio a insaputa di tutti. Sembra essere questo il quadro (paradossale) offerto dall’ex pm Nino Di Matteo, attuale membro del Consiglio superiore della magistratura, nella deposizione di lunedì al processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio, in corso al tribunale di Caltanissetta. Il processo vede imputati di calunnia aggravata tre poliziotti che parteciparono all’inchiesta, Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, ex componenti del gruppo “Falcone e Borsellino” della squadra mobile di Palermo. Sono accusati di aver depistato le indagini imbeccando diversi falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, le cui ricostruzioni portarono alla condanna all’ergastolo di otto innocenti, scagionati dopo molti anni. A Messina è invece in corso il processo nei confronti di due magistrati che nel 1992 prestavano servizio a Caltanissetta e si occuparono delle indagini sulla strage in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, raccogliendo le finte rivelazioni di Scarantino. Si tratta di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
Di Matteo non è indagato, ma fece parte anch’egli del pool che si occupò delle indagini basandosi sulle ricostruzioni del falso pentito. Nella sua deposizione al processo in corso a Caltanissetta, il magistrato ha dichiarato di non essersi mai occupato del primo processo sulla strage di Via D’Amelio, di essersi occupato solo del dibattimento del secondo processo e di aver seguito integralmente soltanto l’iter del Borsellino-ter. Di Matteo ha anche detto di “non aver mai avuto l’occasione di parlare” con Ilda Boccassini, che fece inizialmente parte del pool, prima di lasciare Caltanissetta quattro mesi dopo l’inizio della collaborazione di Scarantino, e ha aggiunto di essere venuto a conoscenza “solo nel 2008” delle lettere in cui Boccassini esprimeva forti dubbi sull’attendibilità del falso pentito e in cui affermava che quest’ultimo stesse raccontando solo “fregnacce pericolose”.
Di Matteo, anzi, ha addirittura dichiarato di aver ritenuto Scarantino “poco attendibile”. Ma all’epoca il pm si mostrò così convinto della credibilità delle rivelazioni di Scarantino da sostenere che la successiva ritrattazione del falso pentito fosse la conferma della sua attendibilità: “La ritrattazione dello Scarantino ha finito per avvalorare ancor di più le sue precedenti dichiarazioni. L’avvicinamento dei collaboratori per costringerli a fare marcia indietro è diventata una costante nella strategia di Cosa nostra”, disse Di Matteo in una requisitoria. Sulle telefonate avute da Scarantino con i pm Palma e Petralia prima delle deposizioni del pentito, Di Matteo ha affermato che anche lui era solito preparare i collaboratori di giustizia e che “all’epoca era una prassi seguita da tutti”. Di Matteo si è anche detto “certo” che “né io né altri miei colleghi parlammo con Scarantino nelle pause degli interrogatori di fatti relativi alle indagini”.
Insomma, il contributo fornito da Di Matteo alla ricostruzione delle circostanze che portarono al “più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana” è stato piuttosto modesto, tanto che Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra, si è detta “delusa e amareggiata” dalla sua deposizione: “Sembra che quello che riguarda Scarantino e il depistaggio delle indagini sia avvenuto per virtù dello spirito santo”, ha dichiarato. “Ho ascoltato molto attentamente la deposizione del consigliere Di Matteo e rimango sempre stupita da questa difesa, oltre che personale, a oltranza dei magistrati e poliziotti che si sono occupati dell’indagine sulla strage. Sembrano tutti passati lì per caso. Ci si riempie la bocca con la parola pool ma io di pool non ne ho visto nemmeno l’ombra. Tutte le volte in cui si chiede come mai non sapessero nulla dei colloqui investigativi cadono tutti dalle nuvole”. “Non ho notato alcuna volontà, al di là del tentativo di discolparsi, di dare un contributo per capire cosa è accaduto. E questo mi fa molto male”, ha concluso la figlia di Borsellino.