La Consulta boccia l'applicazione retroattiva della Spazzacorrotti
Uno schiaffo al M5s e al ministro Bonafede. “La legge più scandalosamente giustizialista degli ultimi decenni taglia in poco più di un anno il traguardo che si merita”, dice il presidente dell’Unione camere penali
Roma. Come avevamo previsto sul Foglio già un anno fa, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima l’applicazione retroattiva della legge “Spazzacorrotti”, fiore all’occhiello del Movimento 5 stelle e del Guardasigilli Alfonso Bonafede, nella parte in cui vieta ai condannati per alcuni reati gravi contro la Pubblica amministrazione di accedere ai benefici penitenziari e alle misure alternative al carcere. In particolare, la Corte ha bocciato la mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l’applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge, avvenuta il 31 gennaio 2019. In attesa del deposito della sentenza, previsto nelle prossime settimane, in una nota la Corte ha definito “costituzionalmente illegittima” l’interpretazione con cui i giudici avevano applicato retroattivamente la legge, spedendo in carcere diversi condannati per reati contro la Pa commessi prima della sua entrata in vigore. Secondo la Corte, infatti, “l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”.
Un duro schiaffo per il M5s e per il ministro Bonafede, che hanno elevato la legge “Spazzacorrotti” a provvedimento simbolo delle proprie battaglie politiche, tanto da scendere in piazza e brindare quando venne approvata in via definitiva dal Parlamento. Lo schiaffo è ancora più pesante se si considera che, prima che la Corte costituzionale si esprimesse, la legge era stata bocciata persino dall’Avvocatura dello Stato, che generalmente è chiamata a difendere le posizioni del governo e del legislatore, e che invece, in questo caso, si era schierata dalla parte dei difensori che chiedevano di dichiarare illegittima la retroattività della norma, tra cui Vittorio Manes e Gian Domenico Caiazza (presidente dell’Unione camere penali).
“Si tratta di una sentenza storica perché rovescia una giurisprudenza quasi secolare, che, anche se recentemente aveva presentato alcune oscillazioni, era sempre rimasta rocciosamente aderente al principio della retroattività delle modifiche delle norme esecutive della pena”, spiega al Foglio Vittorio Manes, docente di Diritto penale all’Università di Bologna. “E’ una sentenza storica – aggiunge – perché riafferma la primazia delle istanze della legalità e dello stato di diritto, riconoscendo che il principio di irretroattività deve essere teso ad abbracciare ogni mutamento normativo che, al di là delle etichette formali, abbia effetti peggiorativi sul trattamento punitivo inflitto al singolo, anche in fase esecutiva. I cittadini non sono sudditi in balia dell’arbitrio e della volubilità dello stato Leviatano, che non può cambiare le carte in tavola ai loro danni”. “E’ una decisione tanto più importante in un contesto come quello attuale in cui i principi e le libertà fondamentali vengono frequentemente trascurati e trivializzati negli interventi legislativi in materia penale, spesso sulla spinta dell’onda emotiva o della finalità di ottenere un facile consenso elettorale”, conclude Manes.
“La legge più scandalosamente populista e giustizialista degli ultimi decenni, la stessa che ha introdotto il principio barbaro dell’imputato a vita, taglia in poco più di un anno il traguardo che si merita”, ha commentato invece Caiazza. “Il fiore all’occhiello dei populisti italiani, raggiunta da censure di costituzionalità provenienti da 17 giudici collegiali e monocratici di tutta Italia, è la degna fotografia di questi tempi barbari. La Corte costituzionale si conferma l’unico argine in difesa dei diritti e del diritto, della Costituzione e delle regole basilari della convivenza civile. Chi ancora pensa che con la barbarie giuridica sia possibile una mediazione, tragga da questa decisione della Corte la forza per scegliere la strada del diritto e della ragione”.
Enrico Costa, deputato e responsabile del dipartimento giustizia di Forza Italia, ha attaccato Bonafede chiedendo di pagare di tasca propria le ingiuste detenzioni causate dall’applicazione della legge: “Dalla Corte costituzionale schiaffone a Bonafede. Tante persone finite in carcere ingiustamente per la sua foga forcaiola. Noi avevamo presentato risoluzioni e proposte di legge per introdurre una disciplina transitoria della ‘Spazzacorrotti’, anticipando al Guardasigilli le eccezioni di costituzionalità. I 5 Stelle, presuntuosi, hanno tirato diritto. Bonafede paghi di tasca propria l’ammontare delle riparazioni per le ingiuste detenzioni cagionate dalla sua testardaggine”.