Ipotesi di un caso Tortora senza prescrizione e nell'Italia giustizialista di oggi
La compagna, Francesca Scopelliti: “Sarebbe morto da colpevole”
Roma. “Enzo Tortora fu condannato a dieci anni di carcere a settembre del 1985 e morì a maggio del 1988. Se ci fosse stata l’applicazione della legge che prevede la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, Enzo sarebbe morto da colpevole. Questo è inaccettabile. Faccio il nome di Tortora ma vale per chiunque”. A parlare, intervistata dal Foglio, è Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora, il protagonista del più clamoroso errore giudiziario della storia dell’Italia repubblicana. Scopelliti parla dopo aver partecipato a un convegno organizzato dal gruppo Italia viva al Consiglio regionale della Toscana sulla riforma della prescrizione, che, afferma, “non deve passare. In uno stato di diritto – dichiara – i tempi lunghi della giustizia rappresentano una denegata giustizia. Già Beccaria, in Dei delitti e delle pene, affermava che il giudizio deve essere dato in tempi brevi dalla commissione del reato. E’ un principio giuridico molto antico, che non può essere stravolto oggi dal ministro Bonafede”.
“Garantire alla giustizia tempi rapidi è una questione di cultura giuridica. In mancanza di questa cultura, diventa necessario avere una legge che impone dei tempi precisi. Per questo mi auguro che venga accettata la proposta avanzata da Renzi di rinviare di un anno la riforma Bonafede, e che in questo anno si studi una riforma del processo penale, per arrivare ad avere una giustizia con tempi normali e accettabili”.
Nel frattempo, c’è da prendere atto che proprio la vittima per eccellenza dell’errore giudiziario, Enzo Tortora, con la nuova norma che abolisce la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, entrata in vigore il 1° gennaio, avrebbe probabilmente subito un’umiliazione persino maggiore, morendo da colpevole. Arrestato il 17 giugno 1983, Tortora venne accusato di traffico di stupefacenti e di essere colluso con la camorra sulla base delle ricostruzioni di alcuni pentiti. Il 17 settembre 1985 venne condannato a dieci anni di carcere, sentenza poi ribaltata in appello un anno dopo e divenuta definitiva nel 1987. In mezzo sette mesi di carcere e gli arresti domiciliari. “Nel caso di Enzo i tempi del processo furono brevi – ricorda Scopelliti – ma questo avvenne solo perché, in primo grado, i magistrati partenopei Lucio Di Pietro e Felice Di Persia ebbero fretta di togliersi la patata bollente, visto che dalle indagini avevano capito che Enzo non c’entrava niente, e poi perché, in appello, il giudice Michele Morello invece capì che bisognava fare presto perché non c’erano elementi a sostegno di quella condanna”.
Con la riforma Bonafede che abolisce la prescrizione, però, dopo la sentenza di primo grado nessun giudice avrà interesse a esprimersi in tempi brevi, col risultato che un innocente, condannato per sbaglio in primo grado, potrà restare in balia della giustizia per un tempo indefinito, ed eventualmente morire da colpevole. Uno scenario che rende inaccettabile anche la proposta di modifica avanzata dal premier Giuseppe Conte per raggiungere un accordo nella maggioranza, vale a dire il cosiddetto “lodo Conte”, che prevede l’applicazione della riforma Bonafede solo ai condannati in primo grado. “In Italia tantissimi condannati in primo grado vengono poi assolti in appello – nota Scopelliti – E’ proprio il carcere preventivo subìto dall’innocente a creare spesso l’errore giudiziario, perché il carcere subìto ingiustamente deve essere giustificato dal magistrato che ha provocato la detenzione. Quindi in primo grado si condanna, poi in appello ci può essere l’assoluzione”. Una dinamica perversa, riassunta perfettamente da Enzo Tortora in una delle atroci lettere che inviò alla sua compagna dal carcere (e raccolte nel libro “Lettere a Francesca”, pubblicato nel 2016 per Pacini editore): “Questi signori per salvare la loro faccia fottono me”.
Nell’Italia di oggi, Enzo Tortora avrebbe rischiato non solo di morire da colpevole, ma anche di essere vittima di un’ondata giustizialista persino più feroce. “Se la vicenda fosse stata vissuta oggi, con tutti questi social network e con la diffusione sempre più veloce delle notizie, Enzo sarebbe stato massacrato. In tempi rapidissimi sarebbero arrivate cattiverie e fake news, senza nemmeno riuscire a controllarle o a controbilanciarle, e senza nemmeno riuscire a trovare i responsabili – spiega Scopelliti – Nella nostra società è cresciuta una sorta di rancore sociale, che in materia di giustizia si trasforma in una cultura giustizialista, secondo cui sono tutti colpevoli”. “Purtroppo – aggiunge la compagna di Enzo Tortora – a suggerire questa idea è anche la politica. Di Maio, che è ministro della Repubblica, non può sostenere che dietro il crollo del ponte Morandi ci siano i Benetton. Lo faccia dire a un procedimento giudiziario. Lo stesso sta avvenendo attorno al deragliamento del treno a Lodi. Sarò eccessivamente garantista, ma non me la sento di dire che la colpa è di quei cinque operai. Io voglio che si facciano le indagini e che dopo si dica di chi è la colpa. Per questo non accetto neanche le conferenze stampa dei procuratori, in cui si afferma che gli operai si sono comportati in maniera superficiale e scorretta: perché a quel punto nella società si inculca l’idea, anzi la verità assoluta, che siano stati loro. Forse sono stati loro, ma non vanno condannati preventivamente”.
Scopelliti torna poi sulle parole del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che in un’intervista a La7 ha addirittura dichiarato che “gli innocenti non finiscono in carcere”: “Premetto che ormai non mi sorprende più nulla di ciò che dicono i ministri e i rappresentanti del M5s, perché sono eterodiretti e fanno propri dei concetti che non sono maturati da un’esperienza, da uno studio o da una realtà dei fatti. Io non guardo ‘Otto e mezzo’, perché la trovo una trasmissione di parte, ma quando il giorno dopo ho letto la battuta di Bonafede ho pensato che fosse completamente fuori dal mondo. Non conosce la realtà del suo paese. Se hai la fortuna di diventare ministro, devi almeno avere l’umiltà di studiare per meritare quel titolo, altrimenti diventiamo veramente il paese di Pulcinella”.
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