Mattarella ed Ermini contro la giustizia mediatica: lezioni per le nuove toghe

Ermes Antonucci

Il presidente della Repubblica e il vicepresidente del Csm chiedono ai magistrati in tirocinio nominati lo scorso anno “sobrietà, professionalità e riserbo”, senza “cercare notorietà”

I magistrati devono lavorare con “sobrietà, professionalità e riserbo”, senza “cercare notorietà”, devono essere “estranei a centri di interesse” e devono “interpretare le norme”, senza creare “arbitrariamente” le regole. Più che un saluto ai nuovi magistrati, quello rivolto mercoledì al Quirinale dal presidente della Repubblica (e presidente del Csm) Sergio Mattarella e dal vicepresidente del Csm David Ermini ai magistrati in tirocinio nominati lo scorso anno è sembrata una lezione di deontologia preventiva. Evidentemente lo scandalo delle nomine pilotate al Csm (curiosamente sparito dalle cronache giudiziarie) e le altre vicende di corruzione che hanno riguardato magistrati continuano a essere al centro dell’attenzione delle massime istituzioni rappresentative del mondo togato, così come le distorsioni provocate dal circo mediatico-giudiziario e dall’azione di alcuni pm in cerca di celebrità.

 

“Le funzioni che vi apprestate a svolgere sono caratterizzate da grande responsabilità sociale, che impone il serio rispetto della deontologia professionale e la sobrietà nelle condotte individuali”, ha dunque sottolineato Mattarella ai nuovi magistrati. “A voi è chiesto di amministrare la giurisdizione con professionalità e riserbo, avendo sempre presente il principale dovere che deve assumere il magistrato: l’eticità dei suoi comportamenti, anche nelle varie forme di comunicazione”.

 

Il Capo dello Stato ha poi ricordato le figure di diversi magistrati (come Paolo Borsellino e Rosario Livatino) che hanno perso la vita a causa del loro impegno nel contrasto alla violenza terroristica e mafiosa, evocando “lo stile esemplare del loro essere magistrati al servizio della giustizia e del Paese, senza aver ricercato notorietà”.

 

Mattarella ha anche invitato le nuove toghe a tenere ben presente “il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio nella creazione della regola e dalla imprevedibilità della risposta di giustizia”, arbitrio e imprevedibilità che, ha spiegato, “rischierebbero di minare in maniera seria la fiducia nell’ordine giudiziario e la sua credibilità”: “L’evoluzione giurisprudenziale è un’esigenza ineludibile per la crescita della civiltà giuridica – un valore per l’ordinamento – ma essa deve essere il frutto di un percorso che richiede serietà nell’approfondimento e ponderazione nelle scelte: vi sono estranee estemporaneità e avventatezza”.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda si è mostrato David Ermini, vicepresidente di quel Csm travolto un anno fa dall’inchiesta di Perugia sul “mercato” delle nomine togate, che portò alle dimissioni di ben cinque consiglieri su sedici. Di fronte alle nuove leve, Ermini ha evidenziato che la “legittimazione” del magistrato non sta solo nella sua “preparazione tecnico-giuridica”, ma “esige altresì, e principalmente, il carattere esemplare e irreprensibile della condotta serbata tanto nell'esercizio della funzione quanto nella vita privata”. I magistrati, ha aggiunto, “devono anzitutto essere, e apparire, estranei a centri di interesse”.

 

“È poi indispensabile l'assoluto rispetto delle regole di deontologia professionale e la silenziosa osservanza dei canoni di sobrietà e discrezione dei comportamenti”, ha ammonito Ermini, sottolineando che i magistrati “devono rifuggire da ogni tentazione di esibizionismo; non devono cercare visibilità e men che meno la notorietà; devono svolgere le funzioni e condurre la propria vita all'insegna della prudenza e della discrezione, della serietà, dell'equilibrio, della compostezza, del riserbo”. “Queste modalità di comportamento, apparentemente improntate all'umiltà e alla modestia, ma in realtà dettate dalla consapevolezza della rilevanza della funzione – ha proseguito – sono l'impegno che ogni magistrato deve profondere per guadagnare la quotidiana conferma del riconoscimento pubblico del prestigio e della credibilità propria e dell'ordine cui appartiene. E costituiscono l'unità di misura dell'affidamento sociale nell'autonomia e nell'indipendenza della magistratura”.

 

Resta da vedere se, in un settore dominato dal meccanismo della gogna mediatico-giudiziaria, dall’onnipresenza dei magistrati nel dibattito pubblico-politico e dalle degenerazioni correntizie, le nuove toghe saranno in grado di dare retta agli appelli di Mattarella ed Ermini, o se preferiranno, anche loro, partecipare al processo di imbarbarimento della giustizia e di devastazione del normale equilibrio tra i poteri.

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