La distanza tra carcere e società
Le rivolte di questi giorni ci fanno pensare a quanta fatica si faccia a restare umani in quei luoghi, e quanto il pensiero di chi ha partecipato alla fine sia stato anche quello di sballarsi fino a dimenticare, fino alla morte
“L’infermeria è stata devastata, hanno aperto l’armadio cassaforte dove è custodito il metadone puro in bottiglioni... poi hanno preso farmaci di tutti i tipi… Ci sono volti e immagini che non dimentico, così come i due carri funebri che sono entrati tra le urla dei famigliari e poi usciti con due bare...”: è una volontaria a raccontarmi la rivolta in carcere a Modena, con il suo tragico bilancio, nove morti. Quella stessa rivolta la sento raccontare al Tg2 da Matteo Salvini, e mi viene voglia di piangere. Come se parlasse di topi di fogna… Io non sono una volontaria “tenera” che giustifica tutto e mi fa rabbia pensare a tutta quella violenza, ma poi penso anche alle vite disperate di tanti tossicodipendenti, i tossicodipendenti sono circa il 25 per cento dei detenuti, il dato è stabile negli ultimi 5 anni, dunque, all’incirca, 15.000 persone che stanno in galera, devastate dalla droga, spesso giovani, stranieri anche, lontani da casa.
Conosco detenuti che non vedono la loro madre da otto, da dieci anni. Aggiungo che il 49 per cento dei farmaci prescritti in carcere sono psicofarmaci, quindi servono a non pensare, servono a dormire, a dimenticarsi della propria vita. Mi viene in mente il messaggio che ho ricevuto in questi giorni, dopo la chiusura di tutte le attività, da un detenuto della mia redazione, Luca, anche lui tossicodipendente: “Qui tutto si è fermato, nemmeno gli agenti sanno come si svolgeranno le giornate d’ora in poi, quindi sale dentro di me un senso di angoscia, ansia, depressione, tristezza e smarrimento perché siamo in balia di eventi su cui non abbiamo il minimo controllo e questo peggiora tutto”.
E mi vengono in mente le Case circondariali, e quello che segnalano anche ora i volontari impegnati su quel “fronte”: la fatica del Servizio Tossicodipendenze che ha poco personale presente in istituto, che ha pochi strumenti anche per gli italiani, figurarsi per i detenuti stranieri, le poche ore di presenza degli psichiatri e degli psicologi, in situazioni in cui il disagio psichico è sempre più diffuso, il fatto che la gran parte dei detenuti cerca, per lo più inutilmente, il lavoro, che consentirebbe almeno di avere due soldi per le sigarette e per le telefonate, e che vedono raramente gli educatori, che dovrebbero essere decisamente di più e invece sono davvero un numero esiguo e pure loro hanno pochi strumenti se non inserirli nelle rare attività formative disponibili. E non mi dimentico che in questi contesti così degradati alla Polizia penitenziaria è affidato un compito disumano, di far fronte alla rabbia crescente contro le istituzioni che spesso non hanno saputo affrontare questa emergenza vera e drammatica informando, dialogando, confrontandosi a partire dall’unico “esercizio” che ognuno di noi oggi dovrebbe imparare a fare: provare a mettersi nei panni dell’altro, a vedere le cose, come ci insegna lo scrittore israeliano David Grossman, “con gli occhi del nemico”.
In questi giorni ho pensato che queste rivolte ci faranno tornare indietro di anni in quel delicato lavoro che facciamo per ridurre la distanza fra la società e il carcere: perché già si sta procedendo a creare i mostri, ci fanno vedere uomini sui tetti delle carceri, che urlano, che spaccano tutto, e ognuno si sente in dovere di condannare, di prendere le distanze, di esprimere la propria riprovazione. L’ho fatto e lo faccio anch'io con profonda convinzione, ho orrore della violenza, però penso anche allo stato di abbandono in cui versano tante galere, le giornate passate ad ammazzare il tempo, i corpi accatastati in spazi inadeguati, la perenne emergenza sovraffollamento, e ora su tutto questo la paura del virus, il senso di impotenza, la rabbia, e capisco quanta fatica si faccia a restare umani in quei luoghi, e quanto il pensiero di chi ha partecipato a queste rivolte alla fine sia stato anche quello di sballarsi fino a dimenticare, fino alla morte.
*presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti