Le radici dei guai nelle carceri. Parlano Fiandaca, Bernardini e Manes
Il bollettino della rivolta dei detenuti riporta 15 morti, 12 evasi, 40 agenti feriti
Roma. “Nonostante l’emergenza fosse nota da diverse settimane, la relazione del ministro della Giustizia in Parlamento ha svelato l’assenza di un piano di prevenzione: nelle carceri non era stato effettuato neppure un tampone”, è il commento a caldo del vicesegretario del Pd Andrea Orlando dopo le parole del guardasigilli Alfonso Bonafede (l'ex ministro è anche convinto che il Parlamento dovrà organizzarsi in modo speciale in questi giorni: “Penso che dovremmo organizzarci diversamente: con i moderni mezzi telematici il lavoro delle commissioni, per esempio, potrebbe proseguire da remoto. Il Parlamento deve restare pienamente operativo”). Il bollettino della rivolta dei detenuti riporta 15 morti, 12 evasi, 40 agenti feriti. Se la Lega e Forza Italia chiedono il passo indietro del ministro, Italia viva e Leu sollecitano le dimissioni del capo del Dap Francesco Basentini. Secondo le stime del ministro Bonafede, sarebbero “almeno seimila” i detenuti che hanno partecipato alle rivolte, il 10 per cento della popolazione detenuta.
“Le regole vigenti per evitare il rischio di contagio – dice la radicale Rita Bernardini, presidente di “Nessuno tocchi Caino” – non possono essere rispettate nelle prigioni italiane a causa del sovraffollamento. Soltanto chi sta in una cella singola riuscirà a garantirsi un metro di distanza dagli altri, per non parlare delle precarie condizioni igieniche e del fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, i detenuti puliscono le celle solo se hanno i soldi per acquistare detersivi e disinfettanti”. Il ministero ha fatto sapere che si è “avviata” la distribuzione di mascherine. “Se hanno cominciato, meglio tardi che mai. La verità è che mancano gli strumenti basilari per sanificare le celle, al Pagliarelli di Palermo, dove 400 detenuti hanno preso possesso di un’ala del carcere, la doccia è consentita soltanto tre volte a settimana. Le prigioni italiane ospitano 61mila detenuti dove dovrebbero starcene 50mila, anche se, a mio giudizio, considerando le sezioni inutilizzabili, i posti disponibili effettivi sono circa 47mila. In diversi posti d’Italia il tasso di sovraffollamento, in media del 130 percento, tocca picchi più elevati”. Il ministro ha parlato dei 12 detenuti morti per overdose di farmaci rubati dalle infermerie. “In realtà, ne sono morti altri due, e non in ospedale ma nel corso dei trasferimenti in altre carceri. Questo governo è contrario alle misure alternative, persiste l’idea che l’unica pena sia quella dietro le sbarre”. Il ministro Bonafede ha rivendicato di aver previsto 2500 agenti in più: in realtà 1500 sono già in servizio. “Non avendo effettuato ad oggi neanche un tampone, mi domando a quali rischi siano esposti gli stessi agenti. In carcere il personale sanitario e psichiatrico è da sempre sottorganico. Il ministro è parso poco informato sulle esigenze effettive, lo stesso capo del Dap, nonostante le rivolte, non si è mai recato in un carcere. La situazione gli è sfuggita di mano, del resto già nei primi mesi del suo incarico abbiamo dovuto convincere Bonafede del persistente sovraffollamento perché il capo del Dap lo aveva persuaso del contrario”.
Giovanni Fiandaca, ordinario di Diritto penale all’Università di Palermo e Garante dei detenuti in Sicilia, esprime “enorme preoccupazione per l’inadeguatezza dimostrata dal ministro Bonafede”. Il professore punta il dito contro “la direzione del Dap e del suo vertice Basentini: sono d’accordo con chi ne ha proposto il commissariamento, anzi ritengo che il Pd dovrebbe farsi sentire per imporre al ministro una linea di maggiore ragionevolezza. Se la polveriera esplode, la situazione non sarebbe più governabile”. Come se ne esce? “Il Garante nazionale Mauro Palma e il portavoce dei garanti territoriali Stefano Anastasia stanno valutando misure di sfoltimento della popolazione carceraria. Stando alla normativa vigente, gli autori di reati di modesta gravità o verso fase finale di espiazione della pena potrebbero passare alla detenzione domiciliare. La magistratura di sorveglianza dovrebbe mostrarsi più disponibile a conferire misure extra-detentive, per esempio per gli over 65 o per quelli affetti da patologie cardiache e polmonari”. Ma il governo sembra sfavorevole a un allentamento carcerario. “Lo so bene ma l’emergenza sopravvenuta richiede una risposta emergenziale. Nel bilanciamento tra beni meritevoli di tutela costituzionale, la tutela della salute e della vita umana ha un peso maggiore rispetto alla tutela della sicurezza, almeno per fasce di criminalità medio e bassa”. La classe politica si accorge del carcere soltanto nell’emergenza. “Il coronavirus non è la causa della polveriera carceraria ma è solo una situazione contingente che fa esplodere problemi, contraddizioni, ritardi e insensibilità di lungo corso”. Mentre il governo governa a colpi di decreti, il Parlamento si riunisce una volta a settimana, a ranghi ridotti. “In tempi di emergenza le garanzie democratiche si riducono. Quando si devono bilanciare beni in conflitto, il grado di tutela dei diritti fondamentali è frutto di scelte condizionate da giudizi di valore e da fattori esterni non desumibili dalla semplice Costituzione. L’assenza del Parlamento, in questa fase, è grave: spetta alle Camere il compito di esercitare un controllo sull’esecutivo. Tuttavia, oggi non è in grado di farlo perché il ceto politico non è all’altezza della crisi. I parlamentari si ritrovano impauriti, in una condizione non dissimile da quella dei cittadini comuni”.
A sentire il professore Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale all’Università di Bologna e membro del Consiglio direttivo di Fino a prova contraria, “sorprende che ci si accorga solo in questa drammatica contingenza dell’enorme problema del carcere dove il rispetto dei diritti umani, e della dignità dei detenuti, si gioca ormai sul filo dei centimetri, al punto che le sezioni unite della Cassazione saranno presto chiamate a decidere se nei tre metri quadrati di ‘spazio minimo disponibile’ da garantire ad ogni detenuto debba essere computato, o escluso, lo spazio occupato nella cella dal letto e dal mobilio. L’attuale situazione non è che il frutto di politiche di criminalizzazione dissennate e a senso unico, che si trascinano da anni e continuano imperterrite, se solo si pensa al frenetico incremento del numero dei reati e dei livelli delle pene, o alle modifiche apportate all’art. 4 bis dalla legge Spazzacorrotti, che ha esteso il doppio binario penitenziario anche ai reati contro la pubblica amministrazione. Il legislatore continua ad attingere a piene mani alla risorsa scarsa della pena privativa della libertà, con scelte irrispettose di ogni ordine di ragione e del principio secondo il quale la privazione della libertà è legittima solo se limitata al ‘minimo sacrifico necessario’, e solo ove impellenti ed oggettive ragioni impongano di preferire il regime custodiale rispetto ad alternative extramurarie più congeniali all’istanza rieducativa. Un tempo intervenivano provvedimenti di amnistia o indulto, che avevano anche una funzione di decongestionamento: nel quadro attuale, il solo proporli è visto come un sacrilegio. Le conseguenze sono ora sotto gli occhi di tutti, quando ci si accorge che il carcere è una polveriera che si può accendere in qualsiasi momento”.